La sinistra figura di Charles Manson da sempre ha affascinato sia il cinema che la televisione (prossimamente lo vedremo nella seconda stagione della serie Netflix Mindhunter e nel nuovo film di Quentin Tarantino Once Upon A Time In Hollywood); in Charlie Says, lungometraggio di Mary Harron (regista della pellicola cult American Psycho) presentato nella sezione Orizzonti della 75. Mostra del Cinema di Venezia, vengono analizzati i tremendi delitti del serial killer deceduto lo scorso novembre attraverso un inedito punto di vista.
I CRIMINI DI CHARLES MANSON VISTI CON GLI OCCHI DELLE RAGAZZE DELLA SETTA
Il film analizza i terribili delitti della Manson Family, capitanata da Charles Manson (Matt Smith) attraverso il lavoro di Karlene Faith (Merritt Wever), una ricercatrice che lavora con tre giovani donne entrate nella setta dopo aver subito il lavaggio del cervello da parte del criminale. Le ragazze, condannate a morte per il coinvolgimento in delitti che hanno causato la morte di molte persone (pena tramutata poi in ergastolo), grazie al lavoro della Faith capiscono in maniera graduale la gravità delle loro azioni.
CHARLIE SAYS È UN MANIFESTO FEMMINISTA CHE ANALIZZA IL FASCINO SEDUCENTE DEL MALE
La regista canadese, dopo aver lavorato in televisione nella serie L’Altra Grace (lo show tratto dal romanzo di Margaret Atwood disponibile nel nostro paese su Netflix), torna a raccontare storie di donne in difficoltà prendendo in considerazione uno dei serial killer più famosi della storia. Quando si parla di Charles Manson e della Manson Family non possiamo non fare riferimento al periodo storico in cui sono ambientati i casi di cronaca: nella California di fine anni Sessanta, tutta sesso, droga e rock ‘n’ roll, la voglia di ribellione era talmente forte che non era raro trovare uomini malintenzionati pronti ad approfittarsi di ragazze ingenue.
Mary Harron, utilizzando soprattutto l’espediente narrativo del flashback, dipinge il personaggio di Charles Manson come un uomo malvagio ed autoritario, senza alcun minimo di rispetto nei confronti delle donne (arrivando addirittura ad annullare la personalità delle inconsapevoli ragazze). Nonostante il film a tratti abbia un taglio più televisivo che cinematografico, analizza con efficacia, dal punto di vista femminile, il fascino del male: il lavoro di supporto portato avanti dalla femminista Karlene Faith (la ricercatrice era specializzata nell’offrire aiuto alle donne incarcerate) è la risposta più efficace ad un approccio maschilista capace di schiacciare l’ego e la ragionevolezza delle complici di Manson (carnefici ma, allo stesso tempo, vittime).
MATT SMITH È UN CARISMATICO CHARLES MANSON
Anche se si tratta di un lungometraggio corale, a rubare letteralmente la scena è il Charles Manson di Matt Smith (l’indimenticato Doctor Who nel periodo 2010-2014 e il principe Filippo di The Crown): la bravura dell’attore inglese in un ruolo per lui inusuale conferma il talento e il grande carisma di un interprete in costante ascesa (ricordiamo che Smith è in trattativa per far parte del cast di Star Wars IX). Anche le attrici che lo affiancano svolgono diligentemente il loro compito: da Suki Waterhouse a Merritt Wever, passando per Hannah Murray (la Gilly di Game Of Thrones), le scelte del cast femminile sono azzeccate.
Al netto di qualche sbavatura di troppo (con un finale non pienamente riuscito), Charlie Says è un buon prodotto in grado di mostrare un lato poco conosciuto di un personaggio controverso della storia recente americana.
In sala dal 22 agosto con NoMad Entertainment.