C’era un tempo in cui il cinema dell’Europa dell’Est era irrimediabilmente legato a quei circolini di cinefili di provincia in cui le aspirazioni a una vita comunista si sublimavano sullo schermo e si beavano delle discussioni post film. Erano quei circoli dove il solo nome del regista pareva impronunciabile per i meno scaltri, gli stessi circoli che rivivono nei ricordi di chi era giovane intorno agli anni Settanta. Adesso che invece viviamo negli anni Dieci di un nuovo secolo, non possiamo non esserci resi conto di come, in Europa, gran parte del materiale più interessante arrivi proprio dall’est. Si pensi alla Romania di Puiu e Jude o all’Ungheria di Enyedi. Alla Settimana Internazionale della Critica è invece la volta dell’esordiente Ivan Salatić di presentarci un ritratto attento di vita operaia nel Montenegro contemporaneo. Ti Imaš Noć (You Have the Night) si fa infatti studio sofisticato di una famiglia sull’orlo della tragedia sullo sfondo del tramonto della classe operaia.
Su una nave diretta verso il porto di Genova lavora Sanja (Ivana Vuković), tra una camera da riordinare e delle lenzuola da portare in lavanderia. Sbarcata in Italia comincia a vagare per le strade vicino al porto, non una parola, un po’ di pesce da mangiare da sola su delle scale, una notte passata a dormire con la testa appoggiata allo zaino. Impossibilitata a vivere nella nuova città non le resta che tornare a casa dove l’attendono un figlio, un compagno e una vita dura in una piccola città operaia che si affaccia sul mare. Quando il cantiere navale di Bijela dichiara bancarotta pronto per essere ricollocato in Turchia e una vita è ormai andata perduta, Sanja e l’anziano Luka (Momo Pićurić) decidono di partire, ognuno con una destinazione molto diversa dall’altro.
A prima vista, Ti Imaš Noć si presenta come un mosaico postmoderno le cui molteplici tessere contribuiscono a formare un racconto pacato, dai toni talvolta quasi documentaristici. Scandito dal lavoro e da brevi momenti in cui poter godere degli affetti familiari, il film colpisce per la ricercatezza del talento visivo del suo autore, per quel particolare lirismo dell’immagine che spesso non necessita della parola per esprimere alcuni moti dell’animo. La narrazione si fa quindi scarna, minimalista, si prediligono le mezze figure o i campi lunghi della natura urbana cui fanno da contraltare primi piani che invece di indugiare sui volti, indagano talvolta altre parti del corpo che si fanno quindi metonimia della persona.
Benché si sia sottolineato come l’immagine predomini per grandezza all’interno della pellicola, le poche battute che corredano Ti Imaš Noć sono imbevute di una bellezza scarna. Ogni parola che i personaggi si rivolgono tra loro è misurata e i momenti di silenzio sembrano ancora più preziosi perché risuonano di una verosimiglianza che spesso si perde nel tentativo di iperdrammatizzare un testo. Su tutto, è il grido nella notte di Luka a risuonare con tutta la sua carica di dolore. È il grido di chi ha speso tutta la vita a lavorare e si vede privato dell’affetto di un figlio. Il grido solitario di una classe operaia sull’orlo dell’estinzione, la ripetizione di una parola che si fa metafora del lutto in un tentativo estremo di esorcizzazione.
Con i suoi 82 minuti di durata, Ti Imaš Noć ci regala uno spaccato di vita non troppo lontano da quello che possiamo vedere anche in alcune province della nostra penisola. L’occhio di Salatić ci documenta della precarietà di tutti coloro che vivono di solo lavoro manuale, di famiglie la cui sopravvivenza può essere messa in forse da dinamiche commerciali più grandi, di persone che nonostante tutti i sacrifici che sono state disposte a fare si trovano di fronte a un salto nel vuoto, a una notte profonda da cui non sappiamo se sia possibile uscire.