Il maggior motivo di interesse verso Opera senza autore, presentato in concorso alla 75. Mostra del Cinema di Venezia, riguardava il suo regista e sceneggiatore, Florian Henckel von Donnersmarck. La sua carriera è un caso strano: cominciò nel 2006 con Le Vite degli Altri, un grande successo al botteghino e un premio Oscar come miglior film straniero, per poi proseguire nel 2010 con The Tourist un flop al box office e un’opera diventata cult per la sua terribile fattura.
Werk Ohne Autor (questo il titolo originale) è invece un kolossal di tre ore, ambientato nella Dresda nazista – che vediamo prima integra e poi rasa dal suolo dai bombardamenti. Una produzione costosa e complicata che ha verosimilmente impegnato Von Donnersmark in questi otto anni di assenza dal mondo della settima arte. Le aspettative erano alte, specialmente per capire quale fosse la natura del talento di Von Donnersmarck; il prodigio di Le vite degli altri o l’artefice del disastro The Tourist?
UNA PESSIMA RAPPRESENTAZIONE DEGLI ORRORI NAZISTI
Nei 188 minuti di Opera senza autore seguiamo la storia di Kurt Barnert, un bambino di Dresda a cui viene portata via l’amata zia, cui viene diagnosticata una forma di infermità mentale. Poiché le leggi naziste sono già in vigore, la ragazza viene condannata a morte insieme a “storpi, mongoloidi e pazzi” (le cui possibile progenie rovinerebbero la purezza ariana) da un medico orgogliosamente nazista (Sebastian Koch, Homeland). Kurt (da adulto interpretato da Tom Schilling) cresce e diventa un giovane pittore dell’Accademia delle Belle Arti, nella quale conosce Ellie (Paula Beer, Frantz), studentessa di moda e figlia del medico che, anni prima, aveva sentenziato a morte la zia di Kurt.
Von Donnersmarck apre il film con una metafora spiccia che già anticipa quale sarà il tono complessivo di Werk Ohne Autor: Kurt, ancora bambino, viene portato ad una “mostra di arte degenerata” nella quale una guida nazista indottrina il pubblico a proposito delle avanguardie e di artisti come Kandinskij o Mark Rothko. Si parla quindi di totalitarismi che incatenano l’arte, che reprimono la creatività e che inculcano nozioni nelle menti dei bambini.
Come detto, questo è soltanto un “anticipo”. La pellicola sceglie una via televisiva, quasi infantile, di rappresentare le violenze del nazismo, a partire da una penosa scena che mostra con censure l’utilizzo delle camere a gas.
Per le prime due ore abbondanti di film, infatti, tutti i temi che potrebbero essere scottanti o in qualche modo “disturbanti” vengono stilizzati e ripresi come se dovessero essere mostrati a dei bambini: le scene di sesso che vengono pigramente riprese, un aborto che viene lasciato sullo sfondo e infine le scene in cui muoiono i personaggi, sempre riprese di sfuggita. Tutta la crudeltà del periodo nazista viene edulcorata e resa innocua. Soltanto in una sequenza, la più bella del film, vengono finalmente a galla i traumi del genocidio e della guerra: quando un professore di storia dell’arte di Düsseldorf spiega la sua scelta di lavorare con “il grasso e il feltro”. Un monologo struggente in cui il film, per pochi minuti, diventa grandissimo.
UN FILM TROPPO SEMPLICE PER LASCIARE IL SEGNO
Tuttavia, l’errore di Von Donnersmarck resta comunque la semplificazione, visiva e narrativa, con cui ha concepito Opera Senza Autore. Il film è registicamente piatto, nonostante sia recitato bene. I personaggi sono scritti con banalità, divisi nettamente fra i buoni e cattivi, con la seconda categoria che vede dei pessimi esemplari fra le proprie fila. Never Look Away (questo il titolo internazionale) necessitava di una maggiore ambizione.
La pellicola infatti si muove fra storie d’amore ostacolate, epoche e correnti artistiche che si alternano e se ne vanno (dall’arte “degenerata” al realismo sociale della Germania dell’Est). L’obiettivo del regista di The Tourist era chiaramente di fare un film alla portata di tutti, un “kolossal” che potesse essere accolto a braccia aperte dal più vasto pubblico possibile e che potesse, in poche parole, incassare. Opera Senza Autore è però la peggior versione del cinema popolare: quella che censura, che riduce il nazismo a poca cosa e che nel mostrare l’atrocità e le disgrazie si dimostra piuttosto codardo. Soltanto quando l’azione si sposta a Düsseldorf, negli ultimi sessanta minuti, il film riacquista un po’ di senso. Difficile capire che cosa ci facesse all’interno di un concorso di livello cosi alto come quello di Venezia75.
Il film verrà distribuito da 01 Distribution a partire dal 4 Ottobre, mentre la distribuzione internazionale è affidata alla Walt Disney.