La presenza femminile nella 15. edizione delle Giornate degli Autori (sezione collaterale della 75. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia) è molto marcata: un esempio è Joy, diretto dalla regista austro-iraniana Sudabeh Mortezai. Al suo secondo lungometraggio di finzione, la Mortezai incentra la pellicola sul ruolo della donna, approfondendo un tema tristemente attuale come quello della tratta sessuale.
La protagonista Joy (Joy Anwulika Alphonsus) è una giovane donna nigeriana costretta a lavorare come prostituta in Austria per ripagare i debiti contratti con la Madame (Angela Ekeleme Pius), la sua sfruttatrice, e per inviare soldi alla famiglia in Nigeria. La ragazza viene incaricata dalla matrona di sorvegliare Precious (Precious Mariam Sanusi), una ragazza anche lei nigeriana appena arrivata nel paese austriaco. Inizialmente la nuova arrivata non sembra però intenzionata ad adempiere ai suoi ‘doveri’, ostacolando così il business intorno al quale ruota l’organizzazione.
Già dai primi minuti del film si nota come la regista voglia mostrare in maniera molto cruda il mondo della prostituzione illegale (specialmente quello gestito dalla malavita nigeriana) denunciando anche come vengono trattate le vittime di questi traffici, all’inizio inconsapevoli riguardo al lavoro che devono svolgere. Ovviamente, in maniera parallela, la cineasta non poteva evitare di trattare anche la questione dell’immigrazione clandestina – argomento di stringente attualità in Europa – ma lo fa senza usare nessun tipo di retorica. Al contrario, la cineasta gira il film quasi come se fosse un finto documentario, evidenziando soprattutto, tramite il personaggio di Joy, tutte le contraddizioni e le difficoltà che riscontrano gli immigrati che cercano in tutti i modi di migliorare la propria vita espatriando. Oltre a questo, per rendere ancora più cruda la storia, i personaggi non sono del tutto vittime ma, nel corso del lungometraggio, viene mostrato come ci voglia pochissimo a passare da essere deboli a diventare carnefici manipolatori; un circolo vizioso davvero sgradevole. La sceneggiatura, curata dalla regista stessa, è particolarmente asciutta e concreta, e, complice una regia ben confezionata, contribuisce a due ore di esperienza filmica che passano in un baleno.
Joy poteva scadere nella facile retorica, ma dopo la sua visione ci si ritrova davanti una pellicola che, grazie al suo realismo, al suo cinismo e alla credibilità dei personaggi, risulta essere uno dei migliori lungometraggi di questa 15. edizione delle Giornate degli Autori.