La desolazione del mitteleuropa rurale fa da scenario al tranche de vie di una piccola orfana albina. Questa stringerà un forte rapporto di amicizia con la nuova insegnante dell’istituto, che la porterà a conoscere parte del mondo esterno all’orfanotrofio.
Deva è la località che dà il titolo alla pellicola di Pecka Szocs – presentata nella sezione Orizzonti di Venezia 75 e disponibile in streaming su Festival Scope – che tra malinconia e ingenuità infantile accompagna lo spettatore in un piccolo mondo esotico fatto di antiche credenze e una tensione religiosa quasi scomparsa nell’occidente odierno. Incuriosisce da subito l’interessante accostamento di una prima scena costruita per emulare i video-ricordo di famiglia e una seguente ellissi che rimanda al presente della storia, caratterizzato invece da una regia pulita che si distingue soltanto per l’uso della pellicola, peraltro qui finalmente assennato dato il taglio quasi anacronistico che si vuole dare all’intero film. C’è allora un funerale che fa intuire in un’immagine ciò che l’ellissi sopra evocata aveva eliminato, e poi un incidente domestico che segna la vita già sfortunata della protagonista. È su di lei (Csengelle Nagy) che si regge gran parte della pellicola, legata com’è al piacere per l’immagine fotografica e all’ inquietudine che con successo vorrebbe trasmettere. Sono quindi tantissimi i primi piani e i dettagli espliciti (il serpente che preannuncia l’incidente), e non è un caso che in più di un’occasione la bambina chieda di essere fotografata, chiarendo poi come la fotografia sia ciò che più le interessa fuori dall’istituto. In questo senso la giovane protagonista è un cavallo facile sul quale puntare, data l’innata presenza nell’inquadratura arty causata proprio dal suo albinismo (si veda a tal proposito quella nella vasca e quella in chiesa): si assiste ad esempio a momenti in cui l’azione principale resta fuori campo mentre la camera punta sulla faccia della piccola, quasi a volerne mostrare tutte le reazioni dinanzi a un mondo da scoprire. Ma vi si rintraccia anche il piacere della convivenza tra bambini sfortunati, capaci di creare dinamiche di gruppo del tutto simili a quelle di qualunque altro ragazzo ben integrato.
Se però la Szocs ci fa assaggiare questi elementi facendone presagire un’imminente ripresa, il rammarico principale è che non vengano poi approfonditi a sufficienza, restando nella superficie di uno spezzone sulla vita quotidiana della protagonista e della nuova insegnante. Ci sarà spazio per qualche piccolo conflitto con la dirigente, per qualche crisi tipica della situazione e del momento, ma il film resterà legato ad una natura episodica che sembra limitarne fin troppo le possibilità.