La fiaba disincantata e la tragedia più profonda sono le pietre angolari del nuovo lungometraggio di Mikhaël Hers, Amanda, presentato alla 75. Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti e disponibile in streaming su Festival Scope.
Nella Francia post-Bataclan il ventiquattrenne David (Vincent Lacoste) si guadagna da vivere grazie a piccoli lavoretti, tentando di occuparsi della nipote Amanda (Isaure Multrier) nei momenti in cui la sorella, ragazza madre, lavora come insegnante di inglese. È proprio grazie ad un impiego minore che David conosce Lena (Stacy Martin), mentre lo spettro del terrorismo minaccia il piccolo nucleo familiare messo su con tanta fatica. La morte della sorella spinge infatti il protagonista incontro a diversi bivi, costretto a dover prendere scelte decisive che segneranno la propria vita e quella della nipote.
Mikhaël Hers lavora sulla costruzione dei contrasti d’atmosfera: all’inizio ci viene mostrata la vita armoniosa di una famiglia inusuale ma felice (il padre di Amanda è fuggito), caratterizzata da numerose scene in bicicletta per le vie di Parigi accompagnate da una colonna sonora di fiati. Poi però, nel momento successivo alla strage, è il silenzio a dominare, con il dramma dell’elaborazione del lutto e la risalita finale. Si tratta di una sorta di viaggio agli inferi e ritorno, un percorso di purificazione e di formazione per un giovane disadattato da sempre restio ai doveri e alle responsabilità più elementari. La prima sequenza è già una dichiarazione d’intenti: su un tema sonoro fiabesco, David corre dopo il lavoro a prendere da scuola Amanda con colpevole ritardo; tuttavia la ramanzina successiva della sorella è più un simpatico rimbrotto che un feroce rimprovero. Dopo l’attentato, il rapporto tra David e Amanda subisce un’accelerazione sempre più dolce fino ad arrivare all’atto finale che, senza strafare, riesce quasi a commuovere. In tutto ciò però c’è chi, dopo la tragedia, fatica a ripartire: dopo l’attentato, in cui è rimasta lievemente ferita, Lena sceglie la solitudine troncando sul nascere la relazione con David, terrorizzata addirittura da qualsiasi rumore cittadino.
Ecco che, alle pratiche burocratiche per l’affidamento della nipote, si affianca la possibilità di lasciare la piccola ad un istituto per orfani che consentirebbe a David di recuperare la propria vita e il rapporto con Lena, scelta peraltro consigliata dagli stessi amici del ragazzo. In realtà la decisione finale non verrà mai messa in discussione e, anche nel momento in cui Hers vuole depistare lo spettatore, si intuisce chiaramente ciò che il protagonista vuole fare. Una pellicola del genere, come obiettivo di base, ha quello di dipingere un quadro che dall’esterno possa rendere alla perfezione l’idea della metropoli divenuta campo di battaglia della cosiddetta guerra asimmetrica. Il regista sembra dunque voler ribadire una condizione di costante precarietà in termini di sicurezza e di prospettive future che, unite al trauma più violento, generano reazioni differenti nei suoi personaggi; l’ottica del bicchiere mezzo pieno emerge soltanto nella scelta di concedere maggiore spazio ai risvolti più ottimistici di una situazione drammatica.
Il risultato finale è una parabola graziosa che non si trascina mai, in cui il cineasta dimostra consapevolezza nel gestire i tempi e le emozioni dei protagonisti e del pubblico.