Una fatto di cronaca realmente avvenuto al quale non è stata messa la parola fine, con il cinema che funge da strumento per tentare di accedere alla verità: a due anni di distanza da Le Confessioni, Roberto Andò ha presentato fuori concorso alla 75. Mostra del Cinema di Venezia il suo ultimo lavoro, Una Storia Senza Nome, distribuito in sala dal 20 settembre da 01 Distribution. Una storia siciliana che risale al 1969: parliamo del misterioso furto per mano della mafia a Palermo del celebre quadro Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Caravaggio. Un racconto ricco di manipolazioni, tanto da non permettere alla verità di venire a galla.
Valeria Tramonti (Micaela Ramazzotti) è la segretaria del produttore cinematografico Vitelli (Antonio Catania) e da diverso tempo scrive in incognito per uno sceneggiatore di successo, Alessandro Pes (Alessandro Gassman). Alla disperata ricerca di un nuovo soggetto, troverà la svolta grazie all’incontro con l’anziano Rak (Renato Carpentieri), un uomo misterioso e sconosciuto che le racconterà una intrigante storia criminale: la rapina del quadro di Caravaggio avvenuta nella notte tre il 17 e il 18 ottobre del 1969 all’Oratorio di San Lorenzo a Palermo. Valeria scrive una straordinaria sceneggiatura per Alessandro e il progetto piace molto al produttore, tanto che a finanziare il film entrano dei gruppi stranieri e per dirigerlo viene ingaggiato un noto regista americano, Jerzy Kunze (Jerzy Skolimowski). Il soggetto però è pericoloso e le conseguenze saranno inevitabili, tra misteri e clamorose rivelazioni…
UNA STORIA SENZA NOME: UN MISTERY DRAMA MA ANCHE UN FILM SUL CINEMA
Roberto Andò, sceneggiatore insieme a Giacomo Bendotti e Angelo Pasquini, gira un interessante mistery drama con sfumature di commedia: un giallo su un crimine impunito ma anche una storia sul cinema. I pentiti della mafia hanno infatti scritto una loro sceneggiatura sul furto del quadro, manipolando a loro piacimento la tragedia ma anche il grottesco, con leggende metropolitane sullo smembramento del quadro in più parti per rendere più facile l’espatrio oppure sull’utilizzo come poggiapiedi da parte di un boss mafioso. E i protagonisti di questo giallo sono coloro che si occupano della creazione di un film, con il cinema che assume la capacità di incidere sulla realtà.
Marchio di fabbrica del cinema di Roberto Andò, il tema del doppio assume un ruolo centrale in Una Storia Senza Nome e si avvicina molto al teatro di Pirandello: la verità e la finzione, il continuo scontro tra persone e maschere, tra ciò che si è ciò che si finge di essere, la dimensione privata e quella pubblica. L’identità è un’invenzione e il regista siciliano spinge molto su questo punto di vista, tanto da creare due filoni separati e paralleli all’interno dello stesso film. Segreti e rivelazioni si intersecano, forse anche troppo, e lo spettatore fatica a intercettare la realtà. E attenzione, questa volta non si tratta di una critica: Una Storia Senza Nome si basa su una vicenda irrisolta.
MICAELA RAMAZZOTTI NON ALL’ALTEZZA, CARPENTIERI INECCEPIBILE
Come ne Le Confessioni, la fotografia di Maurizio Calvesi è straordinaria e altrettanto vale per la regia di Andò, stilisticamente ineccepibile. Gassman si destreggia bene nei panni di uno sceneggiatore trattato come un cialtrone, tratteggiato con gli stereotipi classici che circolano attorno la figura, mentre Renato Carpentieri, un poliziotto in pensione rimasto ferito da questo furto, rappresenta alla perfezione la sfumatura noir del film. Non mancano però le note stonate: Micaela Ramazzotti non convince minimamente ed è una pecca non da poco, visto che attorno al suo personaggio ruota l’intero film; l’attrice romana arranca nel ruolo dell’investigatrice-ghost writer, fallendo nel compito di fare ‘svoltare’ il suo personaggio da timida segretaria a determinata detective. Qualche riserva, infine, sul commento sonoro di Marco Betta, stantio e senza cambi di marcia.