Ci sono alcuni film che sembrano destinati a non vedere mai la luce, ed è proprio questo il caso del famigerato L’Uomo Che Uccise Don Chisciotte del visionario Terry Gilliam: un progetto ‘maledetto’ fatto e disfatto nel corso di 29 lunghissimi anni; un’opera ormai leggendaria di un regista di culto che neanche i fan più motivati speravano più di vedere finita e che invece – a dispetto dell’inferno produttivo – arriva finalmente nelle nostre sale a partire dal 27 settembre su distribuzione M2 Pictures.
UN FILM CON UNA MALEDIZIONE LUNGA 30 ANNI
Gilliam, unico componente americano del glorioso collettivo comico britannico dei Monty Python, cartoonist dallo stile inconfondibile e soprattutto sceneggiatore e regista di indiscusso talento (suoi titoli di culto come Paura e Delirio a Las Vegas, La Leggenda del Re Pescatore e L’Esercito delle 12 Scimmie) ha iniziato a lavorare a The Man Who Killed Don Quixote nel 1989, adattando per il grande schermo il capolavoro letterario El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha (da noi noto semplicemente come Don Chisciotte della Mancia) di Miguel de Cervantes. È solo nove anni dopo però, nel 1998, che è riuscito a far partire la lavorazione del film, con un budget di 34 milioni di dollari e Jean Rochefort e Johnny Depp come protagonisti.
La storia doveva essere quella di Chisciotte, un anziano uomo che – mentre i suoi coetanei si crogiolavano dei ricordi lontani – decideva di affrontare l’avventura, e quella di un giovane che dopo aver battuto la testa si ritrovava nella Spagna del ‘600. Le riprese vennero avviate, ma furono quasi subito interrotte a causa principalmente dei danni conseguenti un’inondazione sul set, di beghe assicurative e dei problemi di salute di Rochefort. Da allora, dopo un lungo stand-by, Gilliam provò più volte senza successo a riportare in vita il progetto, proponendo di volta in volta nuovi attori protagonisti ai finanziatori (Ewan McGregor prima e Jack O’Connell poi come sostituti di Depp, e Michael Palin, Robert Duvall e John Hurt al posto di Rochefort). Del film però non se ne fece niente, tanto che nel 2002 quello che inizialmente doveva essere un semplice making of si trasformò in un vero e proprio documentario su quest’inferno produttivo, con il titolo di Lost In La Mancha.
UN DON CHISCIOTTE CHE CAMBIA PELLE (E CITA SPESSO I MONTY PYTHON)
Terry Gilliam però è un uomo a dir poco determinato e – come ci ha raccontato quando lo abbiamo incontrato per la presentazione del film – «più passava il tempo più il tutto sembrava una sfida, e ogni difficoltà diventava un’opportunità per migliorare e arricchire lo script». È così che arriviamo all’ultimo fortunato tentativo di confezionare la pellicola, stavolta con un budget dimezzato rispetto all’originale e con due nuovi protagonisti: Jonathan Price (noto al grande pubblico per l’Alto Passero di Game of Thrones), che corteggiava da anni Gilliam chiedendo di essere scelto come nuovo Quixote, e Adam Driver (reso celebre dal Kylo Ren di Star Wars), conosciuto in un bar e scelto perché talentuoso ma completamente diverso dai precedenti interpreti.
Con la possibilità di portare finalmente in scena quel Chisciotte ma con finanziatori molto meno generosi, erano fuori discussione tutte le scene di viaggio nel tempo (costosissime in termini di scenografie, comparse e costumi), ma d’altronde L’Uomo Che Uccise Don Chisciotte aveva cambiato pelle e nel frattempo era diventato una riflessione metacinematografica sul potere del raccontare storie, in cui il coprotagonista Toby Grisoni (nome non casualmente molto simile a quello del cosceneggiatore Tony Grisoni) non era più un dirigente nel settore del marketing ma un regista pubblicitario con un passato da film-maker arthouse, finendo per trasformarsi in un vero e proprio alter ego degli autori. L’infinità di autocitazioni di cui l’ex Monty Python dissemina il film, poi, non fanno che rafforzare questo particolare parallelismo (e sembra una risposta ironica al prologo del libro, in cui Cervantes premette che nel racconto avrà uno stile snello e non ricorrerà a citazioni).
UNA TRAMA ALLUCINATA IN PERFETTO STILE GILLIAM
Toby Grisoni (Adam Driver) si trova in Spagna per girare una pubblicità incentrata sulle figure di Don Chisciotte e Sancho Panza, nelle stesse location in cui 25 anni prima, quando era ancora uno studente di cinema animato dal sacro fuoco dell’arte, aveva girato il suo primo student film: proprio un ispirato adattamento in bianco e nero del capolavoro di Miguel de Cervantes. Quando però ‘per caso’ si imbatte in un DVD di quel lontano primo lavoro (grazie a un gitano che è una presenza costante nella storia e che nei crediti viene non a caso chiamato Diaz Ex Machina – essendo di fatto un deus ex machina), inizia un percorso a ritroso che lo porterà a incontrare sulla propria strada il ciabattino che allora aveva scelto per interpretare Don Chisciotte (Jonathan Price) e che nel frattempo è impazzito, gira in armatura ed è convinto di essere il vero Chisciotte.
Da questo incontro, tra set incendiati e party allucinati, inseguimenti e malintesi, magnati spietati e donne ammalianti, inizierà una serie di peripezie che porteranno progressivamente Grisoni a seguire Chisciotte come fosse il suo scudiero Sancho Panza, l’uno sul cavallo bianco Ronzinante e l’altro su un mulo. In questo imprevedibile e graduale percorso di trasformazione del regista in un personaggio del suo film (o nel suo stesso film), la realtà andrà progressivamente confondendosi con l’immaginazione – in perfetto stile Gilliamiano – fino a un caotico finale costruito come un sogno febbricitante, che rispecchierà l’inferno produttivo della pellicola ma che al contempo dimostrerà come una storia senza tempo possa sopravvivere a ogni avversità.
UN GIOCO DI SPECCHI IN CUI GILLIAM RACCONTA LA SUA IDEA DI CINEMA
L’Uomo Che Uccise Don Chisciotte è un film difficile da capire a fondo, soprattutto se non si conoscono approfonditamente i tre decenni di genesi della pellicola e l’opera letteraria cui si ispira; eppure è un lavoro straordinariamente ambizioso e ispirato, che più di ogni altro adattamento riesce a cogliere lo spirito profondo del meraviglioso libro da cui è tratto.
Il regista Terry Gilliam decide di raccontarsi attraverso un protagonista il quale a sua volta è un regista che si trasforma in un suo protagonista, con una costruzione narrativa ipnotica che gioca a confondere lo spettatore – quella che lo scrittore Premio Nobel André Gide chiamò mise en abîme. A fugare ogni dubbio sulla sovrapposizione dell’autore con la sua opera, l’infinità di rimandi alla propria carriera che il cineasta di Brazil sparge sulla strada di Grisoni (pescando dalla propria filmografia ma anche dai propri cartoon e – con un’insistenza sorprendente – dal repertorio dei Monty Python).
The Man Who Killed Don Quixote è per Gilliam quello che per il Quijote di Cervantes erano le missioni dedicate all’adorata Dulcinea: una visione nobile verso cui muoversi con tutte le proprie forze, affrontando ogni ostacolo con coraggio e determinazione incrollabili. È proprio tra queste pieghe dello script che torna utile recuperare il paragone col libro, per comprendere il senso profondo di un lavoro che sarebbe facile sottovalutare.
CAPIRE IL LIBRO PER CAPIRE IL FILM
Don Chisciotte della Mancia, il più influente romanzo della letteratura spagnola, viene pubblicato da Cervantes in due volumi tra il 1605 e il 1615 e racconta le gesta di un attempato e segaligno hidalgo (un nobile senza titoli o particolari possedimenti) che si è tanto immedesimato nei romanzi cavallereschi dei quali va matto da convincersi di essere a sua volta un cavaliere errante. Indossata un’armatura improvvisata e armatosi di una rudimentale lancia in resta, in compagnia di Sancho Panza (un contadino cui ha promesso un’isola in cambio dei servigi da scudiero), il protagonista inizia a vagare per la Spagna con lo scopo di difendere i deboli dai prepotenti. Se le intenzioni sono delle migliori, in realtà il sedicente cavaliere finirà per combattere battaglie immaginarie e a ‘scambiare’ mulini a vento per feroci giganti, greggi di pecore per eserciti arabi e burattini per demoni. Susciterà così la feroce ilarità di chi lo circonda, ma potrà sempre fare affidamento sul fido Sancho, uomo pragmatico e razionale che però deciderà di lasciarsi trasportare dal carisma del suo amico.
Dirompente nella sua lettura corrosiva e ironica dell’inconcludente nobiltà del tempo, il romanzo è sì spietato nel denunciare quelle che proverbialmente tutt’oggi definiamo “battaglie contro i mulini a vento», ma è anche pervaso da un senso di poesia che si costruisce nel rispetto per la figura di un uomo tanto convinto di ideali più grandi di lui da arrivare a ignorare la noiosa realtà che lo circonda. In più, il peso della narrativa come ispirazione fantastica a gesta nobili non è mai assoluto, ma sempre rapportato alla necessità di misurarsi con la realtà circostante – da qui la straordinaria dicotomia tra le figure di Don Chisciotte e Sancho Panza.
DON CHISCIOTTE: UNA BUDDY STORY CON UN FANBOY PER PROTAGONISTA
In tal senso L’Uomo Che Uccise Don Chisciotte diventa una straordinaria lettura di tutte le più importanti tematiche del materiale d’origine, e al contempo un pretesto per ragionare sul presente. Se infatti una volta erano i romanzi cavallereschi a animare i sogni dei comuni mortali, oggi ad assolvere quel ruolo è l’immaginario pop del cinema (ma anche dei fumetti, aggiungiamo noi), e un po’ di quella follia che porta il Chisciotte ad armarsi e partire viene ora codificata e accettata nelle forme giocose del cosplay e dei LARP (live action role-playing games).
Ancor di più, sono forse proprio gli sceneggiatori e i registi a innamorarsi delle storie che raccontano e perdersi in esse, ed è difficile immaginare per Gilliam una ‘trappola’ più labirintica di questo folle progetto. Terry Gilliam, da sempre visionario, ironico e dissacrante, si rispecchia pienamente nella follia dell’hidalgo della Mancha, per cui prova la stessa fascinazione che porterà il personaggio di Toby Grisoni a rinunciare al buonsenso per trasformarsi in un redivivo Sancho Panza – almeno fino alla sintesi del finale, che non vi spoileriamo.
LE TEMATICHE SCOTTANTI E LA CELEBRAZIONE DELLO STORYTELLING
Se il libro seicentesco raccontava le gesta di un fanboy ante-litteram con toni che oggi definiremmo da buddy movie (ma non senza una certa amarezza), il film di Gilliam non rinuncia a questa componente ma punta anche ad altro, proponendo en passant straordinari spunti su questioni controverse l’Islam, sul #metoo o l’impatto delle produzioni cinematografiche sulle piccole realtà. Il risultato è un lavoro relativamente low budget (è costato 16 milioni) ma concettualmente monumentale, in cui consapevolmente l’autore vuol far perdere ogni riferimento allo spettatore fino a trascinarlo in un delirio perfettamente in continuità con la sua poetica, ma che potrebbe infastidire qualcuno. Sarà però nel finale che il cineasta svelerà tutte le sue carte, riportando il racconto su un binario ben preciso e regalando una riflessione chiara e profondissima su cosa sia lo storytelling.
Il film, che alla luce di quanto detto è indubbiamente uno dei più importanti della filmografia di Gilliam, sarà in sala dal 27 settembre con M2 Pictures. E ricordatevi: no-one expects the Spanish inquisition!