Il fumettista Gipi, al secolo Gian Alfonso Pacinotti, ha presentato Il Ragazzo Più Felice del Mondo – il suo terzo lavoro da sceneggiatore e regista, scritto a quattro mani con Gero Arnone – alla 75. Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Sconfini.
Gipi, ci fai un pitch de Il Ragazzo Più Felice del Mondo?
Il Ragazzo Più Felice del Mondo racconta di un fatto reale. Nel 1997 ricevo una lettera cartacea da quello che è, a tutti gli effetti, il primo ammiratore del mio lavoro. Un ragazzo di 15 anni. Nella lettera mi riempie di complimenti e mi dice che se potessi inviargli un mio disegno (uno “schizzetto”) sarebbe il ragazzo più felice del mondo.
Nel 2017 (venti anni dopo) scopro che questa persona ha mandato lettere a tutti i disegnatori italiani, con la stessa richiesta, con lettere praticamente identiche e che, nell’ultima lettera inviata (Aprile 2017) ha ancora 15 anni.
Con alcuni amici decido di fare un documentario su questa persona, sulla ricerca della sua vera identità e sulle motivazioni che lo portano, da più di due decenni a fingere di essere un ragazzino.
Come fumettista hai ottenuto numerosi premi e grandi riconoscimenti internazionali. Quando e come nasce, invece, l’esigenza di avventurarti nel mondo del cinema?
È una passione che ho da sempre. Ho iniziato a raccontare storie con la cinepresa, una vecchissima Super 8, quando avevo dieci anni. Il fumetto è arrivato molto dopo. Ma il fumetto è più semplice da fare e da gestire. Non richiede altre persone, mezzi tecnici, soldi. E visto che tutte queste cose non erano alla mia portata, negli anni è diventato il mio strumento preferito per il racconto. Ma la passione per la macchina da presa non se n’è mai andata.
Secondo te qual è la differenza fondamentale tra la scrittura di una graphic novel e la sceneggiatura di un film?
Le differenze sono milioni. Difficile elencarle tutte. Il disegno, giusto per sottolinearne una, è magico. Non è la realtà. È un altra dimensione, dove la presenza del bello o del brutto, dipende dalla qualità del disegno. Nel cinema, soprattutto se non si hanno soldi per grandi ricostruzioni scenografiche, il brutto è ovunque.
Poi c’è il ritmo, che è completamente diverso e si deve tenerne conto. il ritmo di lettura del fumetto è deciso dal lettore, anche se può essere indirizzato. ma un lettore può fermarsi un’ora su una pagina. tornare indietro ecc. Nel cinema, chiaramente questo non accade. Inoltre, nel fumetto i dialoghi devono necessariamente essere ridotti al minimo. È un continuo lavoro di economia.
Come hai conosciuto Gero Arnone e come mai avete deciso di lavorare insieme alla sceneggiatura?
Gero aveva un blog dove, firmandosi con uno pseudonimo, scriveva testi comico-satirici molto potenti. Lo leggevo sempre. Lo trovavo molto bravo. Anni fa gli scrissi una mail chiedendogli di incontrarci. Siamo diventati amici.
Da allora abbiamo sempre avuto il desiderio di lavorare insieme. Abbiamo cominciato con il film e adesso lavoriamo sempre a fianco per i corti che vanno in onda su La7, a Propaganda Live. Inoltre lo trovavo molto interessante come aspetto fisico. Speravo di riuscire a filmarlo: c’è voluto un po’ ma alla fine sono riuscito a convincerlo.
Negli ultimi anni molti autori di fumetti hanno esordito nella sceneggiatura di film. Secondo te è una coincidenza?
Non so se sono molti, così al volo me ne vengono in mente tre. Penso che chi ama scrivere (e disegnare) storie ami anche farlo con altri mezzi. Fosse soltanto per provare, fare esperimenti. Mi sembra abbastanza naturale.
La Writers Guild Italia ha un codice deontologico riassunto in 10 punti a cui tutti gli sceneggiatori devono attenersi per farne parte. È in sostanza un impegno a far valere i propri diritti e allo stesso tempo ad «osservare un comportamento ispirato a correttezza e lealtà nei confronti dei colleghi». Tu concordi con la filosofia di WGI?
Non ho letto i dieci punti ma concordo con il comportarsi con correttezza e lealtà. Ma non mi limiterei ai colleghi ma a tutto il genere umano.
Se tu dovessi creare un codice deontologico per gli autori, quale sarebbe per te il primo punto, quello più importante?
Cercare di essere onesti. Provare (fallendo probabilmente) a cercare un briciolo di autenticità in quello che si fa.
Non pensare alle vie facili per il successo. Avere un reale bisogno di raccontare. Mettersi in dubbio. Sempre. Aumentando il livello di sorveglianza con l’aumentare del successo ricevuto.
La Writers’ Guild of Great Britain ha scritto un documento dal titolo Free Is Not An Option, che è in sostanza un appello e una denuncia. Molti sceneggiatori oggi, spesso per carenza di lavoro, sono disposti a scrivere gratis – o quasi – e comunque con un bassissimo livello di garanzie. La tua opinione al riguardo?
È un argomento spinoso. So, per esperienza, che la passione è un’arma che può essere usata contro chi fa questo lavoro. Il desiderio a volte è tale che si passa sopra a condizioni che dovrebbero essere inaccettabili. Credo anche, però, che chi intraprende mestieri “artistici” sceglie la via del privilegio.
Provo a spiegarmi… Io sono libero. Gestisco il mio lavoro. Non ho un capo sopra di me che possa rendermi la vita un inferno. Ricevo complimenti e affetto dal pubblico. Ho fatto della mia passione il mio lavoro. Sono felice, a volte.
Ecco, credo che questi siano tutti privilegi rispetto a un operaio dell’Ilva e, forse, chi vuole raggiungere una tale posizione di privilegio, dovrebbe essere disposto a pagare un poco di più di quanto pensa sia consentito, per raggiungerla.
Molti produttori sostengono che in questa fase sono ‘costretti’ a far riferimento a pochi sceneggiatori perché non ci sono idee. Allo stesso tempo , per loro stessa ammissione, non leggono i soggetti che gli arrivano e comunque difficilmente uno sceneggiatore, che non sia tra la rosa degli eletti, riesce a farsi dare udienza e tantomeno a realizzare un suo progetto. Dov’è il nodo secondo te?
Non lo so. Sinceramente. Sono stato troppo fortunato per poter rispondere. Quando ho fatto il primo film L’Ultimo Terrestre è venuto Domenico Procacci a casa mia a chiedermi di farlo. Non sono mai andato a proporre progetti.
Per Il Ragazzo Più Felice Del Mondo ho fatto tutto da solo. Con mia moglie abbiamo dato fondo a tutti i soldi che avevamo e abbiamo iniziato a girare. Solo in un secondo tempo è arrivata Fandango a salvarmi dalla bancarotta.
Immagino che un produttore che non legga soggetti o idee di giovani autori sia, sostanzialmente, un pessimo produttore. Ma a parte questo non ho abbastanza esperienza per dare una risposta di qualche utilità.
Alcuni sceneggiatori, per veder prodotto il loro film, rinunciano al compenso chiedendo invece utili sulla distribuzione. Che cosa pensi di questa scelta contrattuale?
Che la apprezzo. Ho fatto lo stesso per l’ultimo film. Non ho avuto nessuna paga. Anzi, mi sono rovinato, riponendo ogni speranza nella buona riuscita del film. Certo, sarebbe bello se le cose fossero diverse. Ma se non lo sono, non riesco a non apprezzare chi decide di rischiare del proprio per l’esigenza di racconto.
(intervista a cura di Silvia Longo)