Victor Kossakovsky era già stato al lido nel 2011 con Vivan las Antipodas!, un’opera che era composta di giustapposizioni di immagini di luoghi agli antipodi (una strada affollata di Tokyo e una fattoria deserta in Argentina). Il cineasta russo non è mai banale nel suo lavoro e le sue pellicole, che richiedono anni di preparazione, rappresentano una forma di documentario sperimentale che non presenta alcun narratore e di conseguenza è caratterizzato dalla quasi totale assenza di uno story-telling.
Per Aquarela, presentato Fuori Concorso alla 75. Mostra del Cinema di Venezia, Kossakovsky ha viaggiato per sette nazioni (Scozia, Messico, Russia, Groenlandia, Stati Uniti, Venezuela e Portogallo) con sofisticate apparecchiature per raccontare a tutto tondo l’acqua, nella forma della pioggia, dell’oceano o dei ghiacciai. Girata a 96 fps (quando lo standard del cinema è di 24), quest’opera fa riflettere, più che sull’acqua stessa, sul senso del cinema sperimentale e su quanto senso abbia girare dei film così inaccessibili, difficili e destinati a rimanere confinati nei circuiti festivalieri.
Se infatti da un lato è indubbio che Aquarela sia un’opera ben fatta, confezionata con cura, dall’altro ci si deve chiedere quale sia il suo scopo. Il film è irricevibile, spesso noioso e anche nei suoi ’98 minuti di durata indubbiamente lungo, e la validità formale non può essere l’unico metro di valutazione, giacché nel cinema documentario sono ormai innumerevoli le opere di divulgazione scientifica magnificamente realizzate (si pensi ai titoli della BBC). Basterebbe poco per elevare il film di Kossakovsky a documentario “popolare”: un narratore, una storia e una connessione fra le immagini che vediamo; eppure l’opera vuole restare compiaciuta ed ermetica.
Le sequenze di Aquarela, che ritraggano i ghiacciai che si sciolgono alle Angel Falls del Venezuela o le acque della California, sono saltuariamente accompagnate dalla musica degli Apocalyptica, una band metal finlandese il cui sound contribuisce a sottolineare il potere incontenibile dell’acqua. L’uomo compare saltuariamente – anche se ci viene lasciato intendere, nella sequenza girata in California, che la sua presenza sulla terra sta rovinando la natura e il paesaggio acquatico.
A fronte di splendide immagini, portate su schermo con la migliore tecnologia disponibile, ad Aquarela manca un qualsivoglia tipo di narrazione coerente e chiara che possa interessare lo spettatore ed aiutarlo ad affrontare questo viaggio. Victor Kossakovsky però costruisce le sue opere così e nessuno riuscirà a fargli cambiare idea.