Dopo aver presentato quattro anni fa al Lido Nobi – Fires On The Plain, è tornato in concorso con Killing (titolo originale Zan) alla 75. Mostra del Cinema di Venezia uno dei più importanti cineasti giapponesi contemporanei: stiamo parlando di Shinya Tsukamoto, il regista che sconvolse il mondo alla fine degli anni Ottanta con il cult horror cyberpunk Tetsuo e che, nel corso della sua carriera, ha dato vita ad opere straordinarie come Tokyo Fist, A Snake Of June e Vital. Questa volta però Tsukamoto si cimenta con un genere che ha reso famoso il cinema giapponese nel mondo: dopo maestri del calibro di Akira Kurosawa, Takashi Miike e Takeshi Kitano, anche l’autore classe 1960 ha deciso di mettersi in gioco con un film di samurai.
UN SAMURAI INCAPACE DI UCCIDERE
Un ronin (un samurai senza padrone) di nome Mokunoshin Tsuzuki (Sosuke Ikematsu) cerca di sopravvivere in una fase storica turbolenta per il Giappone di metà Ottocento, nel difficile passaggio dal feudalesimo alla modernità. Il nostro eroe, che vive assieme ad un giovane contadino e alla sorella del ragazzo, incontra sulla sua strada Jirozaemon Sawamura (Shinya Tsukamoto), un abile guerriero che diventa il punto di riferimento del ronin. Tsuzuki segue il samurai più anziano ma si imbattono in un gruppo di banditi: nel momento in cui comincia lo scontro, scopriamo che in realtà Tsuzuki è incapace di uccidere.
KILLING È UN’OPERA MINORE NELLA FILMOGRAFIA DI TSUKAMOTO
Se consideriamo l’incipit di Killing, c’erano tutte le premesse per un grandissimo film: non capita tutti i giorni di vedere come protagonista un samurai incapace di svolgere il proprio compito (ricordiamo che il senso dell’onore è parte integrante della cultura del paese del Sol Levante). La pellicola più corta dell’intero concorso di Venezia di quest’anno (dura solo 80 minuti) riprende molti temi cari al cinema di Tsukamoto (come, ad esempio, quello della sessualità e della violenza) ma questa volta il regista di Tokyo ci regala una delle opere meno rilevanti della sua straordinaria filmografia: Killing purtroppo è un lungometraggio confusionario che gira a vuoto.
Tsukamoto, oltre ad essere il deus ex machina dietro le quinte (il filmmaker non si è occupato solo della regia ma ha curato anche la sceneggiatura, il montaggio e la fotografia), interpreta il personaggio-chiave di Jirozaemon Sawamura; tuttavia non si capisce esattamente cosa voglia dire in Killing perché il presunto messaggio pacifista che vorrebbe lanciare non emerge in maniera chiara e anche l’associazione tra l’incapacità di uccidere e l’impotenza sessuale del protagonista risulta forzata e pretestuosa. Inoltre, dal punto di vista meramente tecnico, il lungometraggio non è all’altezza della fama del cineasta: nelle scene d’azione i combattimenti sono caotici, il sound design cacofonico questa volta non si sposa bene con il tono dell’opera e le trovate esagerate che caratterizzano il cinema di Tsukamoto stonano in un film di samurai (Takashi Miike, noto maestro dell’eccesso, in 13 Assassini e L’Immortale ha avuto l’intelligenza di affrontare il genere in maniera più classica).
Seppur Killing rappresenti una tappa non memorabile della carriera di Tsukamoto, ci auguriamo che l’autore nipponico ci possa riproporre in futuro pellicole provocatorie in grado di scavare nel profondo l’animo umano.