Dal primo storico Predator del 1987, quello di John McTiernan, sono passati più di 30 anni e sarebbe quindi folle – o quantomeno ingenuo – pensare che recuperare in toto le atmosfere di quel capolavoro di genere sia una ricetta capace di replicare il fortunatissimo mix che inaugurò una saga ormai giunta alla sesta iterazione (inclusi i due crossover col franchise di Alien). Il mondo della narrativa cinematografica è cambiato e così lo sono gli spettatori, quindi la 20th Century Fox decide coraggiosamente di optare per una netta virata rispetto agli ultimi episodi – in cui la reputazione della serie risultava a dir poco appannata – per affidare il nuovo installment al brillante regista e sceneggiatore Shane Black (che nel primo Predator recitava nei panni di Hawkins), reduce dall’esilarante buddy comedy The Nice Guys.
LA LIBERTÀ DI REINVENTARE
Basterebbe il solo nome di Black a far intuire il taglio del suo The Predator, che la Fox porterà nelle nostre sale dall’11 ottobre: come aveva già dimostrato con il Mandarino in Iron Man 3, l’autore non ha paura di giocare con le icone – anche a rischio di sfidare le fan base più conservatrici – e pure qui si prende molte più libertà di quante non se ne aspetterebbero i puristi, trasportando quello che era diventato un brand sci-fi horror in una direzione più trasversale, in cui una forte componente autoironica fagocita i cliché accumulatisi nel corso dei film precedenti per riproporli con una consapevolezza e una nostalgia che funzionano magnificamente.
SANGUE, SCI-FI, ANNI ’80 E IRONIA
Più di ogni altro suo predecessore, The Predator è un film corale, che opera un forte reboot in termini di tono ma che si ricollega con grande forza ai capitoli passati. Non mancano le classiche componenti action e sci-fi né la dinamica cacciatore-preda, fondamentali per la saga, ma ad esse si aggiungono un citazionismo tutt’altro che smaccato degli anni ’80 (molto meno stucchevole di quello che ha colonizzato il cinema e la TV degli ultimi due anni), una maggiore varietà e diversità del cast, e una piacevolissima ironia mai ruffiana.
Al centro della storia troviamo il militare Quinn McKenna (Boyd Holbrook, visto in Narcos e Logan), il quale assiste allo schianto sulla terra dell’ennesima astronave di un Predator, e prima che il governo lo trasporti in un centro d’igiene mentale per insabbiare le sue dichiarazioni, riesce a spedire di nascosto il casco e l’antibraccio dell’alieno a una casella postale.
Per un disguido quel pacco finirà al figlio autistico Rory (l’astro nascente Jacob Tremblay, Room e Wonder), che ne indosserà il contenuto per Halloween attirando inconsapevolmente sulla terra una nuova specie di Predator ancora più minacciosa e feroce, mentre McKenna si unirà a un gruppo di ex militari con problemi mentali di vario tipo per iniziare una caccia all’alieno senza esclusione di colpi, unendosi all’affascinante scienziata tutta adrenalina Casey Bracket (Olivia Munn).
In tutto ciò gli alieni cacciatori faranno ciò che fanno dall’inizio della serie di pellicole, ma qualunque altro umano non si farà grossi problemi a uccidere qualcuno, in un tripudio di morti che passeranno un po’ in secondo piano ma contribuiranno a una kill count di tutto rispetto.
UNA GRANDE CARATTERIZZAZIONE DEI PERSONAGGI PER UN OTTIMO CAST
Se l’inserimento di un bambino nell’equazione The Predator già rende bene l’idea della forte discontinuità col passato e della vocazione più generalista della pellicola, è in realtà lo sgangherato team di eroi un po’ pazzi a calamitare a ogni scena l’attenzione dello spettatore: una soluzione narrativa straordinariamente divertente che da sola potrebbe fornire materiale per un franchise a sé stante. Sono dei grandissimi attori quelli scelti da Black per dare vita ai membri della squadra, e tra essi troviamo Trevante Rhodes (Moonlight), Keegan-Michael Key (grandissimo caratterista comico), Thomas Jane (Boogie Nights, La Sottile Linea Rossa) e Alfie Allen (il Theon Greyjoy de Il Trono di Spade).
Il certo non famosissimo Holbrook si rivela solidissimo nei panni dell’eroe principale, mentre la Munn è perfetta nel portare in scena un personaggio volutamente e completamente sopra le righe: una fantastica ma rispettosa parodia della ‘donna forte’ che ormai sembra immancabile in ogni produzione, che veste il camice di una ricercatrice ma non si fa problemi a imbracciare un AK-47 e rincorrere senza pensarci un Predator in fuga. Piacevole presenza nel cast la Yvone Strahovsky di Dexter e The Handmaid’s Tale e Sterling K. Brown, visto in Black Panther e This Is Us.
Per la sua natura, inevitabilmente The Predator scontenterà molti dei fan della prima ora dell’iconico mostro cacciatore (basti pensare che conosceremo dei ‘cani alieni’ poi non così paurosi), eppure questa nuova lettura firmata da Shane Black è caratterizzata da una freschezza inaspettata, capace forse di garantire un futuro migliore del previsto alla saga, soprattutto alla luce di un finale tanto estremo da risultare quasi giocoso – eppure in grado di gettare basi interessanti per un futuro capitolo. Un action ben confezionato e divertente, che risulta completo pur con una durata di ‘solo’ un’ora e tre quarti (niente, in un’epoca in cui i cinecomic facilmente rasentano le due ore e un quarto).