Romanzo Criminale – la serie, ACAB – All Cops Are Bastards, Suburra, Gomorra – la serie: gli straordinari successi – televisivi e cinematografici, di critica e di pubblico – che Stefano Sollima può vantare nella propria filmografia sono il miglior biglietto da visita possibile, e infatti è proprio grazie a queste credenziali che il regista romano ha potuto permettersi il prestigiosissimo passaggio dal cinema tricolore ad Hollywood: operazione che pochi italiani possono vantare, e che ancora meno possono dire di aver compiuto con successo.
STEFANO SOLLIMA CONQUISTA L’AMERICA
Dietro la macchina da presa di Soldado, sequel del fortunato Sicario, Sollima sembra perfettamente a proprio agio e dimostra che, con attori dalla grandissima personalità da dirigere, con un budget di tutto rispetto e con un confronto impegnativo da affrontare (quello col regista cui è succeduto), sa confezionare una pellicola che senza dubbio diventa immediatamente la migliore della sua pur notevole carriera. Il fatto che poi, nel prendere possesso del franchise, riesca a reggere il confronto con uno dei più talentuosi e virtuosi registi degli ultimi anni (il precedente capitolo portava la firma di Denis Villeneuve, regista di Blade Runner 2049 e Arrival), non può che impressionare e diventare quasi una medaglia da appuntarsi sul bavero.
NON SI PUÒ ANDARE IN GUERRA E PENSARE DI NON SPORCARSI LE MANI
La storia di Soldado (titolo originale Sicario – Day of the Soldado) è orfana del personaggio di Kate Macer (Emily Blunt), su cui era incentrato il primo film, ma recupera i carismatici personaggi dello spregiudicato agente CIA Matt Graver (Josh Brolin) e del sicario Alejandro Gillick (Benicio del Toro). Ancora una volta la narrazione ci trascina al confine tra USA e Messico, e se i temi dell’immigrazione clandestina e del narcotraffico ci riportano immediatamente alle atmosfere di Sicario, stavolta è la variabile del terrorismo – poco più che un mac guffin, in realtà – a dare il via agli eventi che attraverseranno la pellicola.
Quando la CIA decide un’operazione segreta per rapire la figlia quindicenne di un boss della droga e scatenare così una guerra interna al cartello per colpirlo nel momento di maggior caos, i due uomini si ritrovano a prendere alcune delle scelte più spregiudicate della loro vita. Quando le cose non andranno secondo i piani, uno dei due accetterà di bere dall’amaro calice, mentre l’altro non si dimostrerà disposto a violare ogni codice morale.
SHERIDAN E L’OSSESSIONE PER I CONFINI
Non v’è dubbio che l’acclamato sceneggiatore Taylor Sheridan, che torna a firmare anche il secondo capitolo del franchise, abbia a cuore il tema della ‘frontiera’; tanto che potremmo dire che ne sia quasi ossessionato in modo monotematico. In Sicario, Soldado, Hell or High Water, I Segreti di Wind River e nella serie Yellowstone (cioè in tutta la sua filmografia come autore) Sheridan sembra infatti voler insistentemente tornare sul tema della linea di confine, che sia quella che separa due territori o quella labile e sfumata che divide la giustizia dai criminali, il bene dal male.
Anche Soldado non fa eccezione, ma se questa volta lo sceneggiatore non può far leva né sulla misteriosa identità di Alejandro né sulla caduta delle illusioni della giovane agente Kate, è la presunta innocenza che viene da un’infanzia da poco lasciata alle spalle a fungere da contraltare a un mondo in cui vige la regola plautina dell’homo homini lupus. Che si tratti dell’incolpevole figlia di un narcotrafficante o di un giovane messicano pronto a debuttare tra i suoi amici criminali, è evidente che uno dei confini su cui rintuzza in questa pellicola l’autore è quello tra l’infanzia e l’età adulta.
L’idea funziona, e finisce per fare di Soldado un episodio chiaramente di transizione verso la sintesi che arriverà col terzo capitolo della trilogia. Un film in funzione del futuro, certo, ma assolutamente degno anche come lavoro a sé stante, nonostante qualche forzatura di troppo nella trama, i cui eventi sembrano a volte succedersi in modo un po’ troppo pretestuoso.
LA VISIONE DI VILLENEUVE CON L’IMPRONTA DI SOLLIMA
Al suo secondo installment, il franchise d’autore di Sicario inizia ad avere una forma più cristallizzata, ed è evidente che questa è debitrice tanto all’immaginario di Sheridan quanto all’estetica con cui Denis Villeneuve e il cinematographer Roger Deakins hanno avviato la saga. Dal canto suo Sollima, che per la direzione della fotografia si avvale di Dariusz Wolski (The Martian), non si discosta dal linguaggio costruito con le grandi panoramiche e le riprese a volo d’uccello dal regista di Enemy, ma a tratti lascia trasparire una composizione dell’inquadratura che non potrà non portare immediatamente alla mente i migliori momenti di Gomorra – la serie, e dove necessario ‘sperimenta’ con una simmetria per lui piuttosto inedita. Wolski dà il suo meglio in condizioni di luce ridotta, con una gestione esemplare del crepuscolo e delle riprese notturne – tanto ricche di dettaglio da essere impossibili senza il digitale.
In conclusione Soldado non è un film perfetto, ma riesce nell’arduo compiuto di ricollegarsi immediatamente alle suggestive atmosfere pittoricistiche e decadenti di Sicario, e ha successo nel reggere il confronto e nel far evolvere la dinamica tra i suoi protagonisti. Come tutti i secondi episodi di una trilogia, sarà col tempo che potremo giudicarlo con maggiore cognizione di causa, ma per ora ci sentiamo di consigliarvi caldamente di andarlo a vedere al cinema. In sala dal 18 ottobre su distribuzione Leone Film Group, Rai Cinema e Lionsgate Entertainment.