“Ogni volta che esprimo un desiderio accade qualcosa di brutto”. La confessione della giovanissima Estrella (Paola Lara), protagonista di Tigers Are Not Afraid (titolo originale Vuelven), ci racconta come nell’attuale Messico, depredato e devastato dei cartelli della droga, sia impossibile per i bambini avere un futuro e dei desideri, una speranza in grado di oltrepassare il quotidiano. Il bellissimo film di Issa López, presentato in concorso al TOHorror Film Fest (dove ha vinto la menzione speciale della giuria), colpisce non tanto per la lucidità nel raccontare il declino criminogeno della società messicana ma per la capacità di farlo attraverso lo sguardo dei bambini, utilizzando gli archetipi delle favole per catapultarci in una realtà amarissima.
GLI ECHI DI DEL TORO
Che fossimo nei dintorni de Il Labirinto del Fauno di Guillermo del Toro (di cui López è allieva coccolata) lo capiamo fin dagli ingredienti di base di quest’opera: una società repressiva (la dittatura di Francisco Franco per Del Toro, il Messico dominato dai narcotrafficanti e ostaggio di politici e poliziotti corrotti per la López) e la sua trasfigurazione in un mondo incantato dove le vicende umane devono fare i conti con fenomeni ultraterreni. In questo caso è Estrella ad essere, suo malgrado, il crocevia fra realtà e magia: rimasta sola a seguito della scomparsa della madre, la bambina si ritrova costretta a unirsi ad un gruppo di ragazzini di strada capeggiati dall’impetuoso Shine (Juan Ramón López) per sfuggire dai sicari del boss locale, El Chino (Tenoch Huerta). Tutto ciò mentre un rivolo di sangue sembra perseguitare la giovane protagonista, fino a condurla ad una verità forse ancora più crudele e spietata.
GLI ARCHETIPI DELLE FAVOLE
Se quella scia di sangue che perseguita/guida Estrella è la violenza della società messicana che non risparmia nemmeno i bambini, diventare tigri che “non hanno paura” rappresenta proprio per loro l’unica via di scampo per non farsi coinvolgere in quella stessa violenza quotidiana. Sono proprio gli archetipi fantastici (i principi, i tre desideri, la magia e appunto le tigri) a segnare una mappa semantica capace di guidare la narrazione del lungometraggio in un ibrido dove non esiste più realtà o incanto ma un realismo incantato come unica salvezza alle leggi degli uomini. Tigers Are Not Afraid è una fiaba (anche se a tratti nerissima): quando la magia viaggia su tinte horror conserva sempre quella vocazione arbitraria presente nelle favole, capace non solo di spaventare ma anche di livellare gli equilibri ingiusti fra gli esseri umani, diventando leva di una giustizia superiore, incalcolabile e inspiegabile.
TRA PAURA E TENEREZZA
Questa lettura neutrale e quasi positiva del fantastico è uno dei tanti motivi per cui Tigers Are Not Afraid funziona come film di denuncia sociale senza effettivamente esserlo. La López, dal canto suo, è bravissima ad alternare il realismo della macchina a mano con momenti più onirici dove gli effetti speciali danno vita a teatrini dell’assurdo, giocosi e inquietanti al tempo stesso. Pupazzi che si animano, fantasmi di bambini morti, figure alate che fuoriescono dai telefoni cellulari: appena la realtà cerca di portarci fin dentro la miseria delle vicende raccontate, ecco che il fantastico ci soccorre, ci depista, ci porta altrove per guardare quelle stesse vicende con uno sguardo diverso. Questo scambio continuo di battute tra naturale e soprannaturale, tra consapevolezza e ingenuità, tra paura e tenerezza è la vera colonna portante della poetica della López, che gestisce anche le scene più dure da digerire con una delicatezza e un distacco decisamente fuori dal comune.
Per tutte queste ragioni Tigers Are Not Afraid è un’esperienza visiva stratificata e micidiale, capace di parlare ai bambini come agli adulti, di farci spaventare e allo stesso tempo commuovere (come scritto perfino da Stephen King) fino ad un finale potentissimo per livello estetico e narrativo che ci concede, ancora una volta, una doppia lettura, un doppio modo di riflettere su quello che abbiamo appena visto.