Alla 13° Festa del Cinema di Roma, negli spazi di Casa Alice per Alice nella Città, si tiene l’incontro Italian Cinema Now sul tema della rinnovata vocazione internazionale dell’industria cinematografica italiana. A fare gli onori di casa la Presidente dell’Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello Piera Detassis, che ospita il prossimo direttore artistico del Festival di Berlino Carlo Chatrian, la regista di Nico, 1988 Susanna Nicchiarelli e il critico Federico Pontiggia.
IL DOPO KOSSLICK: UN ITALIANO ALLA BERLINALE
L’attenzione è tutta per Carlo Chatrian, talento italiano già alla direzione del festival di Locarno e appena nominato alla guida della Berlinale. Chatrian, che dopo un anno di transizione avrà l’arduo compito di prendere le redini della kermesse berlinese a partire dal 2020, dovrà succedere al discusso predecessore Dieter Kosslick, contro il quale sia erano espresse con un’inusuale lettera aperta ben 79 personalità di prima importanza del cinema tedesco.
La ‘monarchia’ instaurata nella sua lunga reggenza da Kosslick, a detta di molti, ha finito per relegare lo spazio tedesco in una posizione ben lontana rispetto alle leadership di Cannes e Venezia, ed è per questo che un cambio al timone attira l’attenzione dei cinefili di tutto il mondo.
L’idea di un italiano alla guida del Festival di Berlino crea inevitabilmente curiosità su quale sarà la direzione impartita in futuro al terzo appuntamento festivaliero internazionale, e Chatrian – che solo ora sta imparando il tedesco e che conosce molto poco la capitale teutonica – sottolinea di esser stato sorpreso dalla proposta.
PERCHÉ CHATRIAN AL FESTIVAL DI BERLINO?
Scelto dopo due incontri conoscitivi (dei veri e propri colloqui) e alla luce della sua consolidata esperienza svizzera, Chatrian a differenza di Kosslick non dovrà ricoprire il doppio ruolo di direttore artistico e manager (che è stato finalmente diviso in due figure), ma si occuperà esclusivamente della prima carica. Non ci sono ancora dettagli su quale sarà il taglio che sceglierà di proporre dal 2020, ma di certo da Locarno prenderà il duplice approccio di promozione dei nuovi talenti e di interazione con le major per pellicole a vocazione più popolare. Per il resto, aggiunge candidamente (o con falsa modestia): «Non so proprio perché abbiano scelto me!»
UN SEQUEL DI NICO, 1988? È UN INCUBO.
Il dibattito prosegue ed è poi il turno della regista e sceneggiatrice Susanna Nicchiarelli, vincitrice agli ultimi David per lo script del suo Nico, 1988. L’autrice si ricollega al discorso sottolineando quando sia importante la partecipazione ai festival. In particolar modo per produzioni indipendenti – che se e quando arriveranno alla distribuzione non potranno godere di budget generosi per la promozione – la vetrina ùdata da un passaggio festivaliero è un’opportunità importantissima. Però, se l’accoglienza critica è entusiastica come nel caso nel suo ultimo film, c’è il rischio che subentri una sorta di ‘ansia da prestazione’ per il lavoro successivo: «ultimamente ho un incubo ricorrente: sogno di trovarmi sul set a girare Nico 2» spiega seria ma sorridente la Nicchiarelli.
NETFLIX A BERLINO?
Interrogato da Pontiggia sulla sua posizione in merito alla distribuzione direct to stream – sulla quale Cannes e Venezia si sono scontrati frontalmente negli ultimi mesi – Chatrian fa il punto della situazione: da sempre la Berlinale (il cui primo azionista è il governo tedesco) prevede da regolamento che gli unici film eleggibili per il concorso principale siano quelli aventi i requisiti per ricevere finanziamenti pubblici, e quindi che abbiano avuto anche la benché minima distribuzione in sala in un qualsiasi territorio internazionale. In sostanza, con le regole attualmente vigenti, Netflix può partecipare solo se fa uscire al cinema un proprio film «anche solo in 3 sale in Papua Nuova Guinea», scherza Chatrian.
BERLINO CONTINUERÀ AD ESSERE UN FESTIVAL ‘POLITICO’?
Se Kosslick ha insistentemente privilegiato un cinema di impegno politico alla settima arte in senso lato, Chatrian chiarisce che per lui non ha senso una tale rigidità nella selezione: «ogni film, di ogni genere, è a suo modo un atto politico». Invitato infine a esprimersi su quale sia il tipo di contenuto che porti un direttore a pensare che non può lasciarsi sfuggire quel film, il nuovo demiurgo della Berlinale è chiaro: «Non si tratta di trovare contenuti, ma di individuare voci che non abbiamo sentito. La voce di ognuno di noi è diversa, anche se è facile imitare quelle degli altri. Ognuno deve cercare di trovare la propria e farla sentire. A noi il compito di stare ad ascoltare».