Una delle scene più memorabili di Essi Vivono (titolo originale They Live), capolavoro di John Carpenter, arriva dopo appena mezz’ora di film, in modo totalmente inaspettato e sorprendente. Il protagonista John Nada (Roddy Piper) indossa un paio di occhiali da sole e scopre che il mondo che lo circonda non è altro che un involucro in bianco e nero invaso da messaggi subliminali. Sui cartelli pubblicitari e fra le pagine dei quotidiani campeggiano imperativi economici, sociali e culturali: OBBEDISCI, CONSUMA, SPOSATI E RIPRODUCITI. Una mazzetta di banconote suggerisce invece IO SONO IL TUO DIO.
Pochi altri film nella storia del cinema riescono a produrre un effetto così alienante, svoltando improvvisamente da un impianto che fino a quel momento viaggiava nei dintorni del thriller fantascientifico. Da qui in poi la fantascienza diventa solo un pretesto per rappresentare una visione politica radicale e paranoica. Carpenter non si limita a suggerire la distopia politica, come fa ad esempio Paul Verhoeven in Robocop, ma la palesa in maniera evidente, spogliandola da ogni sovrastruttura per mostrarla nuda e cruda per parlare più allo spettatore che al protagonista del suo lungometraggio. È un pugno allo stomaco fulmineo e inatteso, tanto che il saggista Jonathan Lethem ha definito quella sequenza come “10 minuti di sublime dissonanza cognitiva“.
GLI ALIENI SONO GLI YUPPIES
Per arrivare a capire la portata rivoluzionaria di quelle immagini dobbiamo contestualizzare il periodo storico durante il quale fa la sua comparsa nei cinema Essi Vivono. Siamo nel 1988, in piena Reaganomics, l’invasione dei carrieristi yuppies e la competitività sociale sono al loro apice. Gli Stati Uniti sono percossi da un’ondata di consumismo e conformismo che ricorda il maccartismo degli anni Cinquanta, compreso un ritorno nel dibattito pubblico dello spauracchio comunista e della sua natura di male assoluto.
In questo scenario sociale ed economico Carpenter non le manda a dire e recupera un vecchio racconto di fantascienza di Ray Nelson datato 1963 (Alle Otto Del Mattino) che racconta un’occupazione aliena della Terra realizzata attraverso l’ipnosi della razza umana. Il racconto di Nelson ha tutti quegli elementi lovecraftiani cari al cineasta statunitense, in particolare l’esistenza di mondi nascosti, sottostanti, impercettibili: l’autore se ne innamora subito e decide di metterlo in scena.
Ma all’impianto sci-fi un po’ orwelliano del racconto di Nelson, Carpenter aggiunge proprio la sua avversione politica nei confronti di quel decennio reaganiano che aveva cambiato per sempre la società americana. Il mix che ne esce è semplicemente sovversivo: gli alieni diventano gli yuppies e l’ideologia politica ed economica di Reagan diventa il vero mezzo per soggiogare, corrompere e infine “invadere” il paese.
L’AMERICA AI MARGINI
Non è un caso che fin dalle prime immagini Carpenter ridisegna la società americana di fine anni ‘80 guardandola dal punto di vista della classe operaia, con il protagonista Nada che vagabondeggia in una Los Angeles classista in cerca di un lavoro, fra cantieri edili, zone suburbane e comunità disagiate di un’America lasciata ai margini dal reaganismo e dalla sua corsa iperliberista. Da lì, la scoperta del grande complotto ai danni dell’uomo e della sua libertà il passo è breve.
Nada diventa cosciente che una razza aliena si sta nascondendo fra gli esseri umani utilizzando il capitalismo come forma di controllo sociale. E oltre alla già citata scena dell’epifania, Carpenter realizza un’altra sequenza passata alla storia sia per la sua durata estenuante e surreale sia per il suo significato narrativo: la scazzottata fra Nada e Frank (Keith David), con il primo che cerca di convincere il collega di colore ad indossare quegli occhiali da sole per scoprire la vera realtà del mondo in cui vive. Quasi sei minuti interminabili di botte, che da una parte sono un omaggio quasi dovuto al wrestler Roddy “Rowdy” Piper ma dall’altra rappresentano il rifiuto di Frank di inforcare gli occhiali per “vedere la dittatura in democrazia e l’ordine invisibile che sostiene l’apparente libertà” (così come descritto dal filosofo Slavoj Žižek nella sua Guida Perversa All’Ideologia).
Dopotutto, è una scelta difficile quella di indossare gli occhiali per rendersi conto di vivere in una menzogna: è l’autoconsapevolezza di una verità dolorosa che Frank preferirebbe non scoprire perché capovolge la stessa utopia del sogno americano.
L’EREDITÀ DI ESSI VIVONO
Certo, Essi Vivono non è un’opera sempre perfetta: non lo è quando scivola in uno script troppo satirico e grottesco, quando si riduce (soprattutto nel finale) in uno sparatutto duro e puro e quando notiamo tutto lo spaesamento un po’ amatoriale di Roddy Piper (che attore non lo è mai stato). Ma la sua importanza sta proprio nel coraggio di diventare, ancora prima che racconto filmico pulito e coerente, un manifesto politico chiaro e netto attraverso una metafora che non lascia spazio a dubbi: “essi vivono, noi dormiamo”.
L’inequivocabilità di questa dicotomia lo ha reso un film spesso tirato per la giacca anche da ambienti estranei alle sensibilità di Carpenter: nel 2008 alcuni gruppi di neonazisti e di suprematisti bianchi iniziarono ad elogiare sul web la pellicola perché in grado di mettere a nudo la propaganda dei poteri e dei media ebraici ai danni dei cittadini americani, costringendo lo stesso regista lo scorso anno a smentire una tale chiave di interpretazione antisemita (“Essi Vivono parla di yuppies e di capitalismo incontrollato. Non ha nulla a che vedere con il controllo del mondo da parte degli ebrei, che è una calunnia e una menzogna. ” scrisse Carpenter in un tweet) .
E se il rischio ancora oggi, nell’epoca dei sovranismi e dei complottismi al potere, è quello che il significato di Essi Vivono venga nuovamente mistificato nel suo contrario, è ugualmente vero che la sua eredità politica e culturale nella società 2.0 di fake news, algoritmi e false verità rimane viva e profondamente attuale. Perché al di là delle epoche, dei governi e delle ideologie, quella falsa coscienza di cui parla Essi Vivono è una minaccia sempre dietro l’angolo.