Chiunque abbia una passione per i viaggi non può non aver preso in considerazione almeno una volta una delle location incontrate nei propri film e serie preferite, e magari, durante la visione di qualche episodio di Narcos, è addirittura arrivato a fantasticare su un rischiosissimo giro a Medellin, a capofitto in quella babilonia di strade, scalette e muri effigiati col viso di Escobar. O forse si è domandato come sarebbe visitare quelle zone di confine tra gli Stati Uniti e Messico la cui brutale realtà ci è stata mostrata in qualche episodio di Breaking Bad. Dark Tourist, originale Netflix presente da settembre 2018 nel catalogo del web service, si propone proprio di rispondere a queste curiose pulsioni e lo fa con una chiarezza di storie, immagini, individui e informazioni tale da rassicurarci; trasformando quella che pensavamo essere una sete di conoscenza fin troppo cupa in qualcosa di appena fuori dall’ordinario.
Il giornalista neozelandese David Farrier, presentatore della serie di 8 documentari nonché sceneggiatore degli stessi insieme a Paul Horan, inaugura la sua avventura dalla famosa città un tempo capitale del più grande impero della droga: una scelta che rimanda alla serie di Chris Brancato, Carlo Bernard e Doug Miro sul narcotraffico tradendo una certa autoreferenzialità di Netflix, ma che cattura da subito l’attenzione dello spettatore iniziando ad esaudirne i desideri non convenzionali.
DARK TOURIST E IL PERVERSO PIACERE DI GUARDARE IL MALE IN FACCIA
La matrice e ragion d’essere del percorso di Farrier è la continua ricerca delle motivazioni che potrebbero portare un individuo qualsiasi a preferire un’esperienza eccentrica e perturbante (un narco-tour nella città di Medellin, un giro nella Foresta dei Suicidi di Jukai o anche sull’isola fantasma di Hashima) a una più rilassante meta turistica ‘convenzionale’. Motivazioni che, in chiusura di ogni episodio, divengono chiare tanto all’host quanto allo spettatore.
La curiosità, il senso di esaltazione e la fascinazione per l’avventura sono le principali spinte dietro il turismo estremo raccontato da Dark Tourist, nonché i motivi che probabilmente spingeranno lo spettatore a dedicare il proprio tempo alla serie, eppure sarà presto evidente come a questi finiranno per seguire momenti più meditativi, legati all’animo oscuro dei luoghi visitati dalla troupe. Come sottolinea Farrier, il vero piacere del “dark tourism” forse proviene dalla consapevolezza di esser abbastanza fortunati da poter tornare a casa, lasciandosi quei luoghi tanto opprimenti alle spalle.
UN TURISMO CHE ESORCIZZA LA MORTE
Dark Tourist però non è solo miseria e desolazione, ma anche uno stimolante veicolo per entrare in contatto con culture e modi di vivere totalmente differenti dai nostri usi occidentali. Un tema ricorrente della serie, nonché elemento caratterizzante del “dark tourism”, è quello della morte, proposto già nel primo episodio. Una prospettiva che noi Occidentali cerchiamo costantemente di rimuovere, tanto da ricorrere a improbabili perifrasi (passare a miglior vita; andarsene; fare una tragica fine; scomparire etc), ma che altre popolazioni rendono parte della propria quotidianità – come chiarito quando viene presentato il culto della Santa Muerte nel quartiere di Tepito a Città del Messico. Un’esorcizzazione del trapasso che, in zone nelle quali l’aspettativa di vita può essere particolarmente bassa, aiuta ad affrontare il disagio sociale.
L’obiezione che si potrebbe rivolgere alla serie è quella che il formato di appena quaranta minuti a puntata trasformi un’esperienza intensa come quella del viaggio in una toccata e fuga limitata a esporre qualche curiosità e qualche dettaglio morboso, ma in realtà Dark Tourist ha il merito di portare lo spettatore a superare la superficie e a scandagliare i perché e i come di ogni realtà presentata. Ad una visione sfocata iniziale succede infatti la nitidezza di un contesto reso più comprensibile e accessibile, grazie al quale possiamo addirittura sfiorare il dramma umano di chi convive con il dolore senza limitarci a studiarlo con morbosa freddezza.
Terminata la prima stagione di Dark Tourist, non potrete non ripensare alle parole con cui nel primo episodio il sicario di Pablo Escobar sottolinea l’impossibilità di comprendere un mondo diverso dal proprio, e arriverete probabilmente a concludere che, in fondo, quel tipo di comprensione è tutt’altro che impossibile.