In un futuro imprecisato di un “mondo perduto”, dopo quattro mesi di siccità, un uomo, Jamal Afina (Mohamed Zouaoui) viene scelto casualmente da un misterioso ed eccentrico conduttore radiofonico (Aziz Dadas) come ospite di una trasmissione satirica: l’idea è quella di rappresentare la vacuità di un uomo qualunque per farla arrivare agli ascoltatori di tutto il mondo. Nell’intervista che segue emerge la storia di Jamal e le sue vicissitudini di vita tra i tre continenti (l’Africa, l’Europa e gli Stati Uniti), mentre sullo sfondo si muove il riflesso di un mondo inquinato e prossimo all’apocalisse.
La stratificazione di immaginari
Come da premessa, Catharsys Or the Afina Tales of the Lost World, lungometraggio d’esordio dell’italo-marocchino Yassine Marco Marroccu (classe ‘79 e già regista di numerosi cortometraggi e spot pubblicitari in Marocco) è una vera e propria odissea distopica che attraversa una quantità considerevole (forse eccessiva) di scenari, ambientazioni e personaggi: periferie marocchine, periferie italiane, periferie americane, boschi, lande desolate e palazzi misteriosi. Il tutto infarcito da una spropositata muscolatura scenografica che rimanda ad un immaginario di un presente/futuro un po’ tribale e ancestrale con il quale Marroccu scaraventa il suo Jamal un po’ dappertutto: tanto da farlo rimanere prigioniero prima dentro una sorta di Guantanamo post-11 settembre e poi ostaggio dei terroristi islamici nel deserto del Sahara. Un montaggio veloce che intervalla diversi punti di vista e molteplici voci, alternando spesso degli inserti onirici, quasi al limite del cinema sperimentale.
Accumulazioni produttive e vuoti strutturali
Se la produzione, per altro marocchina, può dunque impressionare per la stratificazione di location (il film è stato girato a Casablanca, Belgrado, Tolosa e in Friuli), per alcune riprese “spettacolari” e per l’uso smodato di tutti gli artifizi possibili che Marroccu mette in campo nel tentativo di rendere il tutto “stordente”, quello che manca a Catharsys Or the Afina Tales of the Lost World, pare essere una linea guida, sia essa narrativa che registica, soprattutto quando cerca di rappresentare nella parabola di Jamal il sogno tradito del popolo nordafricano a causa dei suoi governanti e dell’occidente stesso. Il gioco per accumulazioni (che ritroviamo fin dentro al titolo del film) pare nascondere sotto sotto un vuoto strutturale: così il vagabondare del protagonista finisce per soffocare la narrazione stessa e rendere tutta la visione quasi esasperante, noiosa e perfino stucchevole.
Se dunque da una parte bisogna apprezzare l’ambizione di Marroccu di volersi distaccare da un cinema tradizionale e convenzionale e utilizzare il genere fantascientifico per fare da ponte semantico fra il mondo arabo e l’occidente, dall’altra quello che rimane di questo slancio è un disordinato groviglio di abbozzi mai davvero sviluppati, quasi un eco pasticciato di un cinema sci-fi immaginato piuttosto che messo in scena.