Era dieci anni fa che l’immenso sceneggiatore Charlie Kaufman (Se Mi Lasci Ti Cancello, Essere John Malkovich) firmava il suo visionario e follemente ambizioso debutto registico con Synecdoche, New York, documentando il labirintico delirio di un regista teatrale che dedicava la sua vita a costruire una replica a grandezza naturale della Grande Mela. Uno spettacolo teatrale che si animava di vita propria, con migliaia di attori ma senza un pubblico. Una mise en abîme su un artista che si perde nella propria opera, che prima ancora di raccontare il mondo della rappresentazione descriveva la psiche di chi vi si dedica – e in esso si perde.
Ora, nel 2018, Josephine Decker sembra recuperare in qualche modo quello stesso universo e, concentrando la propria lente su uno spaccato decisamente meno ampio, si dedica con Madeline’s Madeline a immaginare cosa possa esserne di un’attrice di teatro che arriva a confondere la realtà con i propri ruoli. È così che il suo nuovo film, scritto a quattro mani con la drammaturga Donna di Novelli e presentato in Italia al 36. Torino Film Festival dopo il successo al Sundance, finisce per essere molto più in piccolo una sorta di Synechdoche dal punto di vista dell’attore anziché del regista; una visione volutamente caotica nella forma ma lucidissima negli intenti; un’esperienza filmica sofisticata e di grandissimo impatto.
MADELINE’S MADELINE: UN COMING OF AGE TOTALMENTE SUI GENERIS
Madeline (l’esordiente Helena Howard) è una teenager psicologicamente instabile che si dedica con avida passione al teatro. Nelle lunghe ore che dedica agli esercizi di recitazione e alle prove del nuovo spettacolo sviluppa una fissazione quasi morbosa per quel mondo, tanto da portare quegli stessi personaggi e quelle routine anche nel privato della sua abitazione. Se a casa la madre Regina (Miranda July) la segue con amore e pazienza, preoccupata per la sua fragilità, sul palco vi è un’altra figura quasi materna: la regista e insegnante Evangeline (Molly Parker), apparentemente premurosa ma in realtà profondamente manipolatoria. I bisogni e le ambizioni delle tre donne saranno destinati a confrontarsi e confliggere in un crescendo di disordine mentale.
UN RACCONTO TRA ARTE E CAOS
Josephine Decker sceglie di affidare il ritratto della confusione della protagonista a un linguaggio elegantemente caotico, in cui una tumultuosa camera a mano, un costante uso del fuori fuoco e il frequente ricorso a dettagli e inquadrature impallate concorrono a creare una straordinaria intimità; una sorta di flusso di coscienza in cui il reale narrativo e la sua metariproduzione si confondono costantemente.
La colonna sonora di Caroline Shaw accentua il ‘calore’ dell’insieme con il frequente ricorso ai cori, mentre un montaggio sonoro giocato in continua sovrapposizione contribuisce a intersecare i molteplici piani del racconto. Dal canto suo, completamente a suo agio nel ruolo di mattatrice (solo apparentemente) inconsapevole della pellicola, Helena Howard rivela un talento raro e prezioso e ci regala una performance che promette una carriera in vertiginosa ascesa.
UNA STORIA DI CONFINI ABBATTUTI
Nel suo crescente ma mai fastidioso delirio, Madeline’s Madeline diventa così un potente ritratto delle motivazioni dietro l’arte teatrale e, passando per una spietata caricatura degli esercizi di mimo con cui chiunque abbia calcato il palco (anche amatorialmente) ha familiarità, sembra dividere le assi del proscenio in due: da una parte gli attori con il loro bisogno di attenzione e di un’esperienza emotiva con cui processare il proprio privato, dall’altra i registi con un’insicurezza che si sublima nella mania di controllo e con la loro perversa ambizione. Una linea netta, ma non impossibile da valicare.
È proprio nel perfetto finale che la Decker infatti mescola ulteriormente le carte e appiattendo il presente della proiezione sulla finzione della storia ci porta alle origini del teatro, a quel bisogno quasi rituale di rappresentazione che ci ricorda come certe soglie siano fatte per essere attraversate.