La Francia è sempre stata un paese profondamente legato al mondo dell’animazione e, più in generale, alla narrazione visiva, e non sorprende che fu proprio oltralpe che nacque il primo ‘cartone animato’ della storia, ovvero Fantasmagorie di Émile Cohl.
Da allora, l’animazione francese è diventata un vero pilastro per gli artisti di tutto il mondo, grazie alla sua varietà artistica e al suo spirito di sperimentazione, che gli ha permesso di creare opere avanguardistiche e di sfornare maestri del calibro di Paul Grimault e del suo allievo, Jean-François Laguionie, famoso per la propria padronanza di numerosi stili grafici e per la passione per la pittura del ventesimo secolo, che espone veementemente in ogni sua pellicola.
Dedicatosi per lungo tempo a cortometraggi valsigli numerosi premi, Laguionie è diventato presto il regista di lungometraggi sempre più sperimentali, che lo hanno condotto, a più di cinquant’anni dai suoi esordi, al suo film più recente e, a detta dell’autore, più intimo: Louise en hiver, in italiano, Le stagioni di Louise, che arriva ora in DVD con Mustang / I Wonder / CG Entertainment.
Louise è un’anziana donna di città che passa tutte le sue estati nella località balneare di Biligen, sulle coste della Normandia, e come ogni anno, l’arrivo dei bagnanti la secca, portandola a desiderare inconsciamente un po’ di solitudine. Alla fine dell’estate, Louise perde l’ultimo treno della stagione e si ritrova sola nella deserta cittadina marittima, con la tempesta d’autunno come unica compagnia. I giorni passano e nessuno viene a salvarla, neanche la sua famiglia, così, finita la bufera, la donna decide di accettare questa situazione come una sfida, quasi un’avventura alla Robinson Crusoe, costruendosi una casetta sulla spiaggia e vivendo di ciò che il mare ha da offrirle. Sotto un falso velo di serenità, Louise nasconde il suo desiderio di rivalsa, di sentirsi forte ed indipendente, abbastanza da sopravvivere, più che alla fame, alla consapevolezza di stare invecchiando e di essere stata abbandonata da tutti.
Bloccata nello spazio in un luogo deserto, la protagonista si rende conto che perdere quel treno a causa di un orologio fermo era l’unico mezzo per viaggiare nel tempo e nei ricordi, ripercorrendo con la mente il passato che credeva prigioniero della senilità. Questo voyage d’illumination conduce Louise ad un luogo onirico, dove, accompagnata da un cane parlante ed il cadavere di un soldato tedesco, potrà rivivere la sua esistenza con occhi nuovi ed imparare a vivere i suoi ultimi giorni in totale serenità.
Fedele alla poetica di Laguionie, il film assume l’aspetto di una favola moderna, introdotta e narrata dalla nostra protagonista che esalta a catartici i momenti più semplici, descrivendo invece con totale naturalezza e non curanza quelli più surreali. Ad avvalorare questo legame con il mondo fiabesco è l’apertura del film, accompagnata da quella di un libro in puro stile disneyano, ma che qui invece contiene cartoline della spiaggia che ha ispirato il film, luogo caro al regista, in cui, come la protagonista, passa le giornate a ricordare la sua giovinezza.
A caratterizzare l’aspetto del film è sicuramente la cornucopia di stili grafici usati dal regista: troviamo infatti figure in live-action accostate a disegni in stile bande dessinèe, animazione tradizionale mista a CGI (a cui molti suoi colleghi della vecchia guardia si sono sempre opposti) e gli sfondi magrittiani perfezionati con La traversée de l’Atlantique à la rame (corto premiato a Cannes); ma nella creazione visuale dei personaggi, Laguionie ha deciso di spingersi oltre e realizzare quello che è uno degli aspetti più interessanti del film e vera e propria estroflessione della loro caratterizzazione.
Mentre i bagnanti sono realizzate in stile fumettistico-minimalista e mossi con animazione tradizionale estremamente fluida, Louise è realizzata in una computer grafica lenta e relativamente realistica, marcando il senso di distacco e lontananza che la protagonista prova nei confronti degli altri. Dopo pochi minuti, notiamo che anche le poche persone care, o almeno familiari alla donna (come un suo vicino) sono realizzate in computer grafica, ma non con lo stesso stile della protagonista; infatti, ognuna di loro ha una composizione facciale più semplice, meno realistica, e che varia leggermente a seconda delle caratteristiche di ogni personaggio. Nonostante questa varietà grafica, i corpi di Louise e dei suoi cari si sposano perfettamente con gli sfondi dipinti a mano, questo grazie a raffinati giochi di luce, composta da linee chiare e nette in puro stile ligne claire/fumetto franco-belga.
Nonostante i suoi molti pregi e la grande cura di alcuni dettagli, Le stagioni di Louise non è esente da difetti: l’animazione in CGI, nonostante il suo sapiente uso, non è sempre perfetta, come non lo sono le caratterizzazioni facciali spesso poco espressive. Il ritmo del film è piuttosto buono, ma spesso si lascia andare in ‘tagli’ posizionati in maniera poco felice, soprattutto durante alcune sequenze oniriche; inoltre, sebbene l’innegabile poesia di cui questa pellicola è intrisa, i suoi ultimi minuti lasciano un pochino a desiderare, con una risoluzione inizialmente interessante ma mal esposta durante le ultime battute. Per quanto riguarda l’adattamento italiano, Piera Degli Esposti fa un ottimo lavoro nel dare la voce a Louise, donandoci un’interpretazione molto fedele al personaggio, ma che raramente si lascia andare a declamazioni eccessivamente teatrali e a una dizione un tantinèllo sporca (in particolare, se paragonata a quella dei due doppiatori con cui dialoga, Teo Bellia e Mino Caprio).
In conclusione, Le stagioni di Louise è una pellicola delicata ed estremamente intima, una piccola rarità nel panorama dell’animazione moderno, che, malgrado le sue imperfezioni, merita assolutamente una visione.