Certe commedie sono come alcune persone: le inquadriamo subito, pensiamo di conoscerle perfettamente e diamo per scontato quello che ci possono offrire. Poi, avvicinandoci meglio, scopriamo che quella certa persona nasconde in realtà tutta una serie di mondi che nemmeno avevamo immaginato. Juliet, Naked, presentato al 36° Torino Film Festival all’interno di Festa Mobile, è esattamente come quel tipo di persona: un film che parte da dei presupposti prevedibili ma arriva a farci entusiasmare, ben oltre il solito sorriso smorzato che riserviamo alle comedy “carine”. Certo, rimane pur sempre una commedia romantica, ma tra tutte le commedie che abbiamo visto quest’anno quella di Jesse Peretz è forse la più sorprendente. Sicuramente delle più intelligenti.
Il fan, lei e l’altro
Ispirato all’omonimo libro di Nick Hornby (da noi conosciuto come Tutta un’altra musica), Juliet, Naked segue la storia di Annie (Rose Byrne) trentenne alla ricerca di stabilità che convive da tempo con Duncan (Chris O’Dowd), insegnante di cinema all’università ma anche fan ossessivo-compulsivo di un’oscura e ormai dimenticata rockstar degli anni ‘90, Tucker Crowe (Ethan Hawke). Mentre Duncan coltiva le sue manie guidando una piccola community online di appassionati di Crowe, Annie vorrebbe costruire con lui una famiglia e magari e avere un figlio: il conflitto tra i due si risolverà nel modo più inaspettato quando lo stesso Crowe inizierà a intrattenere dei contatti con Annie.
Idealizzazione ed emancipazione
Nonostante queste premesse stravaganti, sono tre le tematiche serissime che Juliet, Naked attraversa e intreccia. C’è il tema della crisi di mezz’età maschile e del contesto familiare precario, c’è il tema dell’emancipazione femminile proprio da quel mondo di uomini indecisi e un po’ irresponsabili, e poi c’è il tema del rapporto fra presunte leggende del rock e fan (ma anche hater) mediato dalle nuove tecnologie. Quest’ultimo filone narrativo apre il film con una travolgente e deliziosa mezz’ora nella quale la fa da padrone il goffo ritratto di un fanboy che guida la sua risicatissima fanbase di quarantenni nostalgici dei nineties e adoratori di Crowe: siamo nei dintorni del grottesco che radicalizza – in pieno stile Nick Hornby – dei ritratti sociologici realmente esistenti e con cui spesso facciamo i conti tutti i giorni. La seconda parte del film viaggia invece su binari meno ironici e più riflessivi: scopriamo che Tucker si sente in colpa per aver seminato figli in mezzo mondo e Annie sente il bisogno di rivoluzionare la propria vita amorosa. Ecco che il contrasto tra idealizzazione ed emancipazione sentimentale fa il paio con il contrasto tra idealizzazione di un musicista e il musicista stesso che cerca di emanciparsi da come lo vedono i fan più esagitati. Perché l’esistenza, sembra dirci Juliet, Naked, è molto più complicata di una fanzine sul web. E alla fine lo sarà davvero.
Un Hawke decadente e meraviglioso
Ecco, tutto questo trova in Peretz un sguardo puntuale nel dettare i ritmi comici o seriosi della narrazione e mescolare ingredienti – per certi versi non nuovissimi – in modo originale e inaspettato, depistando verso una commediate venata di drama e lasciando spazio a un cast caratterizzato da un affiatamento eccezionale. Se la Byrne e O’Dowd funzionano alla grande nella loro interpretazione degli estremi opposti, Ethan Hawke si trascina meravigliosamente da vecchia rockstar con annessi acciacchi, malinconie e pentimenti fuori tempo massimo, tanto che a vederlo smarrito in bermuda la mente ci corre al Big Lebowski dei Coen. Ma Hawke oltre ad essere a suo agio nella decadenza è altrettanto bravo a cantare: buona parte della colonna sonora del film porta la sua voce, compresa la cover di Waterloo Sunset dei Kinks, in una scena che ha del memorabile. E dunque anche qualche chicca agli appassionati del rock è servita.
Juliet, Naked sarà nelle nostre sale dal 6 giugno grazie a BiM Distribuzione.