Ci sono dei film dei quali, nonostante lo straordinario successo di critica e l’ottima accoglienza da parte del pubblico, non si parla mai abbastanza. Uno di questi è Il Cratere, debutto nel cinema di finzione dei documentaristi Luca Bellino e Silvia Luzi, che dopo la presentazione alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia ha addirittura vinto il Premio Speciale della Giuria al prestigioso Tokyo International Film Festival e poi al Crossing Europe Film Festival.
Il Cratere ora arriva in edizione home video con CG Entertainment proprio mentre a livello europeo concorre come Miglior Film all’ArteKino Festival, e non possiamo che consigliarvi caldamente l’acquisto del DVD di uno dei titoli italiani più interessanti degli ultimi anni: piccolo, piccolissimo, eppure con uno sguardo filmico di rara potenza.
LA NON RASSEGNAZIONE E IL CINEMA DELL’IPOTETICO
Quella de Il Cratere, come ci hanno raccontato in un’intervista i registi e sceneggiatori, è innanzitutto una storia di ribellione. Una storia che per essere precisi ritrae il ‘grado zero’ di ogni rivoluzione, e cioè la nascita di un contrasto in quell’imprescindibile nucleo sociale che è la famiglia. Quasi un documentario, giacché i personaggi del film sono in realtà persone vere ritratte nel loro reale contesto sociale e con le loro vite e ambizioni; ma quasi un film di finzione, perché Luzi e Bellino non solo mettono in scena la realtà ma si producono nell’esercizio di darle una spinta verso una direzione ipotetica, verosimile ma non vera. Un’opera difficile da inquadrare – e proprio per questo affascinante – ma coesa e compiuta.
Rosario e Sharon Caroccia sono padre e figlia. Lui è l’umile proprietario di una bancarella – una lotteria ambulante – ma per la giovane figlia che tanto ama cantare sogna un futuro di fama e successo. È così che, per Sharon e ancor più per Rosario, ha inizio l’ossessione di ‘trovare una svolta’ attraverso quel talento che però, forse, non basta. Un desiderio di rivalsa legittimo ma capace di consumare una famiglia.
UN LINGUAGGIO MAGNETICO PER L’IDEALE DELL’OSTRICA
Anche alla luce dell’ipnotica scena di apertura del film, una vera e propria dichiarazione programmatica verso un cinema verista, è impossibile non pensare alle parole con cui Verga descriveva gli ultimi e il cosiddetto ideale dell’ostrica: «Allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle staccarsi dai suoi per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo; il mondo, da pesce vorace com’è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui.». Se il finale aperto de Il Cratere non ci regala sicurezze, di certo ci dipinge le realtà più povere e periferiche del nostro Paese come delle sabbie mobili in cui agitarsi è pericoloso, ma dalle quali si può uscire solo con le proprie forze.
Uno dei più grandi pregi della pellicola risiede nel linguaggio filmico di Luzi e Bellino, in cui la forma diventa sostanza nella misura in cui le lunghissime inquadrature indugiano su banali momenti di quotidianità, invitando lo spettatore non tanto a seguire il flusso del montaggio quanto a studiare con una lente d’ingrandimento la candida semplicità, e dietro di essa il tumulto che ribolle come in un vulcano silenzioso. Un cinema che trova momenti mesmerici e potenti dove molti non riuscirebbero a scorgere nulla, e che cadenzando la storia con una bellezza involontaria e ostinata, al contempo fa del fastidio e dell’inquietudine la sua essenza.
UN BOKEH CHE ISOLA DAL MONDO
“Bokeh” è un termine tecnico della fotografia mutuato dal giapponese per indicare la resa dello sfocato, e nell’idioma d’origine significa tanto “sfocatura” quanto “confusione mentale” (binomio particolarmente adatto a Il Cratere). L’utilizzo onnipresente, creativo e del tutto inusuale per il cinema italiano (ma caro, ad esempio, a Xavier Dolan) di queste particolari prerogative date da ottiche lunghe e ampia apertura di diaframma rappresenta forse al meglio il linguaggio registico di Luca Bellino e Silvia Luzi, almeno quanto la straordinaria vicinanza al soggetto inquadrato (resa discreta proprio dalle suddette focali lunghe) e la messa a fuoco mutevole, a tratti fissa e disinteressata a seguire il soggetto, e a tratti ‘agganciata’ con un certo ritardo.
Il mondo ritratto e al contempo messo in scena dai registi è vero, tangibile. Eppure, grazie alla scelta di una visione così estrema e così diversa da quella dell’occhio umano, i cineasti riescono a far muovere Rosario e Sharòn in un universo ovattato, un ‘palcoscenico della vita’ cui i protagonisti ambiscono e che però resta così lontano, ininfluente, astratto.
Lo sguardo di Bellino e Luzi è forte di un carisma raro, e la cantilenante voce della moglie di Rosario che richiama gli avventori del luna park, quelle sigarette avidamente consumate dal protagonista che scruta il sistema di videosorveglianza, le centinaia di occhi sfusi di peluche fatti a pezzi, il tecnico dello studio di registrazione che denuncia una raucedine per gli altri impercettibile e i ripetitivi e mnemonici balletti della ragazzina davanti allo specchio, sono tutti elementi che contribuiscono quasi a ipnotizzare lo spettatore, ritraendo una Napoli che nessuno aveva mai raccontato così.
LA CAPACITÀ DI RECUPERARE IL CONTATTO CON IL PRESENTE
I luoghi della Campania non sono mai sembrati così vivi e così lontani dallo stereotipo, e il merito è anche del fortunatissimo incontro con gli straordinari protagonisti, sempre sorprendentemente veri anche nella finzione. La loro poesia è il migliore controcanto all’ostilità del cratere, culla crudele, mentre lo script riesce con magistrale fluidità a proporre un arco evolutivo che trasfigura i personaggi, trasformando la generosità in mania di controllo e il gioco in ribellione.
Con Il Cratere Luca Bellino e Silvia Luzi ci regalano uno dei più memorabili esordi del cinema italiano degli ultimi anni, rivendicando con forza un’idea di settima arte già straordinariamente consapevole e matura, e dimostrando al contempo che non servono grandi mezzi o storie eccessivamente ambiziose per dare vita a un grandissimo film. In un momento in cui la rappresentazione pubblica sta perdendo il contatto con l’io profondo del nostro Paese, il talento di Luzi e Bellino ricorda al Cinema italiano quel fondamentale ruolo politico cui abbiamo rinunciato a suon di commediole e drammi da salotto. Una storia qualunque delle tante possibili, ma una storia che ci racconta uno spaccato di presente: la comprensione del peso che ancora può avere un film nella ricostruzione dello zeitgeist di quest’Italia smarrita e divisa – nel piccolo come nel grande – passa imprescindibilmente da Il Cratere.