«Voi, macchine mortali, che con le gole urlanti imitano le urla spaventose dell’immortale Giove»: queste le parole che il Bardo dell’Avon faceva proferire al suo Otello. Se il titolo di Macchine Mortali è tanto ambizioso da citare addirittura Shakespeare, però, di quella stessa ambizione non c’è traccia in tutto il resto del film: un tonitruante ma scadente rip-off di Guerre Stellari con una sceneggiatura piuttosto imbarazzante.
PER AMORE DI PETER JACKSON FAREMO FINTA CHE LUI NON SIA COINVOLTO NEL PROGETTO
Il concept su cui si regge tutta la narrazione è quello del darwinismo urbano: in un futuro post-apocalittico la terra è una landa desolata e le città sono diventate ciclopiche macchine a vapore che vagano alla ricerca delle ultime risorse. Le metropoli, grandi e veloci, depredano e distruggono le cittadine più piccole, agli abitanti delle quali offrono poi ospitalità. Un concept che in potenza offre un’interessantissima metafora sull’urbanizzazione di cui – tristemente – nel film non vi è traccia, nonché l’adattamento dell’omonimo romanzo di Philip Reeve: primo capitolo di una tetralogia per pre-adolescenti che qui diventa uno scialbo young adult che arriva fuori tempo massimo.
Incredibile pensare poi che lo stesso Peter Jackson de Il Signore degli Anelli sia qui produttore, co-sceneggiatore e regista di seconda unità, dato che mentre un fiorire incontrollato di VFX non entusiasmanti (anzi, a tratti terribili) rimbecillisce lo spettatore più delle suddette urla di Giove, del grande talento di Jackson non si intravede nemmeno la scintilla.
UNA COPIA CARBONE DI STAR WARS CON UNO SCRIPT DISARMANTE
Macchine Mortali infatti è una rumorosa sarabanda senz’anima in cui uno script indecoroso propone personaggi la cui natura è lapalissiana sin dai primissimi minuti della pellicola e che non vedranno nessun arco evolutivo nel corso della storia (ad eccezione di un solo character, che in compenso è interamente realizzato con una CGI che sembra uscita dai primi anni 2000). Gli eventi si susseguono senza nessun nesso logico e le motivazioni dei personaggi sono mosse dalla volontà arbitraria degli autori come da un deus ex machina.
Come se non bastasse, la storia depreda senza alcun ritegno Star Wars senza però saperne sfruttare in alcun modo gli elementi: abbiamo una superpotenza che vuole sconfiggere ogni resistenza grazie a un’arma potentissima, un’orfana destinata a diventare leader della resistenza, inseguimenti di città su ruote/astronavi fortemente caratterizzati dalle proporzioni di scala, un villan che è un leader metà uomo e metà macchina che coincide con una figura paterna (qui scorporato in due diversi personaggi), un giovane disinteressato alla politica che finisce per passare coi buoni e diventare il miglior pilota al loro servizio, una scheda di memoria capace di segnare la fine dei piani degli antagonisti, una città delle nuvole in cui i buoni provano a rifuggiarsi e addirittura una squadriglia che guida un attacco finale dritto al cuore dell’arma di distruzione suprema. La sovrapposizione, insomma, è spudorata.
MACCHINE MORTALI NON RIESCE NEMMENO A FAR LEVA SULLO STEAMPUNK
Il budget di Macchine Mortali sarà pure di 100 milioni di dollari, ma viene il dubbio che siano stati spesi quasi interamente per gli effetti visivi (d’altronde il regista Christian Rivers, per la prima volta dietro la macchina da presa, proviene proprio da quel mondo): a dare vita a una sfilza di personaggi privi di ogni attrattiva che non superano mai i trent’anni ci sono infatti una sequela di attori semi-sconosciuti spesso nemmeno troppo bravi – ad eccezione della solidissima protagonista Hera Hilmar. In questo mondo a misura di teenager, in cui quello che dovrebbe essere l’orribile volto sfigurato dell’eroina diventa un bel faccino in cui una pur vistosa cicatrice non rovina i lineamenti, addirittura Hugo Weaving, unico membro noto del cast, deve esser ringiovanito. Il grande attore che incarnò l’Agente Smith e Elrond infatti non ha nemmeno diritto all’iconica fronte alta che tanto ne ha definito il carisma, e viene obbligato a indossare una parrucca ridicola che lo rende a stento riconoscibile.
Se a questo improbabile mix aggiungiamo che l’immaginario steampunk – che dovrebbe rappresentare probabilmente il principale punto di forza del film – viene relegato solo a macchine e velivoli mentre il comparto costumi fa un lavoro di una piattezza sconcertante, e che quello che dovrebbe essere uno degli scontri più potenti del film (il confronto con Shrike a Airhaven) finisce per diventare una zuffa involontariamente comica tra idioti, è evidente come Macchine Mortali sia una Caporetto su tutti i fronti.
Se volete comunque dare fiducia a Peter Jackson e verificare con mano se quest’avventura fracassona e un po’ noiosa fa al caso vostro, non vi resta che andare in sala dal 13 dicembre. Consigliamo sempre di andare al cinema e farvi una vostra opinione, ma poi non dite che non vi avevamo avvertiti.