Immaginate una società in cui ogni momento morto è buono per prendere il mano il proprio smartphone e controllare l’ultima mail ricevuta o cos’hanno fatto i vostri amici su Facebook negli ultimi cinque minuti. Dove, per ingannare il tempo, non si parla delle previsioni o degli ultimi risultati sportivi ma si confrontano polizze assicurative e nuovi piani tariffari per la vostra connessione internet. Immaginate una società automatizzata e ipercontrollata, in cui le conversazioni telefoniche degli operatori dei call center non sono troppo diverse da quelle con qualsiasi altra persona per strada e dove le password di accesso a reti wi-fi sono ormai utilizzate alla stregua di una moneta di scambio. L’esordiente Cyril Schäublin, con il suo Those Who Are Fine (lungometraggio disponibile in streaming sul portale web dell’ArteKino Festival), firma un’opera prima dal sapore quasi futurista in cui l’occhio algido della macchina da presa filtra gli scarni e spesso insignificanti dialoghi come se fossero ripresi da una telecamera di sicurezza qualsiasi.
THOSE WHO ARE FINE E UNA ZURIGO SENZ’ANIMA
Alice (Sarah Stauffer), camminando all’interno di un parco, si imbatte in un operatore ecologico. La protagonista dice di aver bisogno di un wi-fi perché la sua connessione dati non funziona e deve inviare urgentemente una mail di lavoro. Senza battere ciglio l’operatore crea un hotspot, le detta la password, la mail viene inviata e il fugace incontro finisce. Nell’aria resta, forse, la voglia del giovane di rivolgere un’altra parola ad Alice mentre nella memoria non c’è già più traccia di quell’ennesima transazione cui gli abitanti di Zurigo si sottopongono ogni giorno. Quella di Schäublin è infatti una città senz’anima, dove tutto si riduce ad un numero che può avere valore finanziario o elettronico. In questo mondo, che definiremmo distopico se non fosse già così vicino a noi, frodare anziane signore diventa ormai un gioco da bambini, complici dati sensibili che cediamo senza troppa attenzione e l’aridità emotiva che non può mancare tra i benefit del lavoro in un call center. In breve tempo, dopo essersi finta nipote in difficoltà di molte anziane, Alice mette da parte una piccola fortuna. Intorno a lei, Zurigo si muove lenta ma con perfetta efficienza.
UN’OPERA METANARRATIVA CHE RACCONTA IL PRESENTE
Tradendo più di una volta una mascherata forma di vanità autoreferenziale, in Those Who Are Fine la metanarrazione sembra diventare elemento ricorrente. Il film, infatti, si apre con tre persone che casualmente parlano del caso di cronaca di una giovane svizzera che è stata arrestata per aver truffato varie signore fingendosi la loro nipote. Ad una di queste persone la storia sembra familiare perché gli ricorda una pellicola ma l’uomo non riesce davvero a farsi venire in mente il titolo. Quello che segue è proprio il lungometraggio di cui l’anonimo personaggio stava parlando: peccato però per quelle due scene in cui personaggi senza nome si stupiscono di quanto la situazione che stanno vivendo sia simile ad un lungometraggio che hanno visto di recente, tradendo quindi un’ossessione per la commistione tra cinema e vissuto che, pur risultando stonata nel contesto, offre spunti d’interesse.
Fornendo una denuncia non solo dell’alienazione sfrenata cui ormai ci stiamo lentamente assuefacendo ma anche dell’immenso scarto generazionale tra i giovani e i loro nonni, Those Who Are Fine diventa un ritratto impietoso di una società vuota dove vedere la propria nonna una o due volte all’anno è descritta con noncuranza come una cosa normale, in cui per l’empatia non c’è più alcuno posto e le emozioni sono spazzate via da ogni volto. Restano solo spazi urbani austeri in cui le figure umane sembrano rimpicciolirsi e dove le linee geometriche dei palazzi e delle strade formano un reticolo che ingabbia gli anonimi passanti. Tra una nuova compagnia di assicurazioni e un’offerta incredibile con internet illimitato quello che conta è solo il denaro, l’ottimizzazione del tempo e la monetizzazione di una moralità dimenticata.