Verrebbe quasi da reagire con un’immediata opposizione aprioristica, quasi istintiva, al Il Ritorno di Mary Poppins, sequel del capolavoro con Julie Andrews che arriva nei nostri cinema il 20 dicembre. D’altronde il film del 1964 è un patrimonio comune, di cui si sono innamorate in tenera età generazioni di quelli che oggi sono nonni, genitori e bambini. Un caposaldo nell’infanzia di ogni nato dal ’55 in poi, il cui seguito dobbiamo però giudicare con gli occhi dell’adulto, così diversi da quelli puri e incantati che avevamo quando per la prima volta abbiamo incontrato Mary e Bert. Una differenza non da poco, che rende la scelta della Disney di riportare sullo schermo la tata più iconica di tutti i tempi non solo incredibilmente coraggiosa, ma ai limiti del folle.
Eppure una sana follia è proprio ciò su cui si regge la saga libraria da cui è tratta la pellicola originale, e questo nuovo capitolo, diretto dal Rob Marshall di Chicago, in un certo senso è perfettamente coerente allo spirito delle origini. Se però mezzo secolo fa lo schermo era una tela bianca su cui trasporre la fantasia delle pagine di P.L. Travers, oggi le idee dei creativi Disney sono necessariamente imbrigliate – anche troppo – nel rispetto sacro del passato. I leoni del web non aspettano altro che un’opportunità per accusare qualcuno di «aver rovinato la sua infanzia», eppure Il Ritorno di Mary Poppins, che necessariamente si colloca su un piano completamente diverso dal vero Mary Poppins, è un film forse perfettibile ma con uno script incredibile, intessuto di sentimenti intensissimi, magia e musiche straordinarie.
QUANDO LA VITA È COSÌ TRISTE DA SPEGNERE OGNI SPERANZA
È chiaro come chiunque abbia lavorato al film sia stato schiacciato dal peso di garantire una certa continuità con l’originale, tanto che il risultato ha una matrice evidentemente derivativa ed è quasi un soft reboot. Ad avere più libertà però, paradossalmente, sono stati gli sceneggiatori, che dovendo rispettare le volontà della Travers che non fossero realizzati altri adattamenti in celluloide, si sono inventati una storia completamente originale, che ripesca un’idea che girava per gli uffici Disney nei primi anni ’80 e che solo a tratti cita qualche passaggio dai libri (soprattuto da Mary Poppins Comes Back del 1935 e da Mary Poppins Opens The Door del 1943).
Sono passati due decenni dalla prima venuta di Mary Poppins: sono i primi anni ’30 e ci ritroviamo nella Londra della Grande Depressione. I bambini del primo film, ormai orfani, sono cresciuti: Jane Banks (Emily Mortimer) è un’attivista per i diritti dei lavoratori ma non ha mai incontrato il grande amore, Michael Banks (Ben Whishaw), invece, l’ha trovato ma l’ha anche perso: la sua adorata moglie è infatti morta dopo avergli regalato tre meravigliosi bambini. Michael vorrebbe trasmettere felicità e ottimismo ai piccoli John, Anabel e Georgie, ma il suo cuore è irrimediabilmente spezzato e ormai non fa che trascinarsi senza entusiasmi in una vita di rimpianti. Mentre la crisi colpisce impietosamente anche i Banks, che si ritrovano improvvisamente sul lastrico, sarà Mary Poppins (Emily Blunt), non invecchiata di un giorno, a presentarsi di nuovo in Viale dei Ciliegi per riportare la felicità in quella casa, e attraverso incontri più o meno strani (la cugina aggiusta-tutto interpretata da Meryl Streep, la donna dei palloncini di Angela Lansbury, i banchieri di Colin Firth e Dick Van Dyke) e una serie di sognanti avventure insieme al lampionaio Jack (Lin-Manuel Miranda) regalerà un nuovo entusiasmo agli sfortunati Banks.
IL RITORNO DI MARY POPPINS È ANCHE UN FILM POLITICO
Chiariamo subito un dato fondamentale: quella che potrebbe sembrare la volontà degli sceneggiatori di ricreare, punto per punto, personaggi e situazioni simili a quelle del Mary Poppins del ’64, è in realtà semplicemente un rispetto filologico dei libri della Travers, che erano costruiti proprio sulla riproposizione di variazioni su tema di un limitato numero di situazioni di base – le stesse che abbiamo imparato ad amare sin da bambini. Detto questo, un certo sapore di déjà vu è innegabile, e mentre si insiste sin troppo su alcune figure (ad esempio l’ammiraglio Boom), il gruppo dei lampionai ricorda da vicino gli spazzacamino di Bert.
Il Ritorno di Mary Poppins però ha un tono e delle idee tali da guadagnarsi un’identità ben distinta dal predecessore, e addirittura eccelle nell’affiancare ai tantissimi momenti giocosi e alle filastrocche una maturità e una profondità inaspettati. Percorsa da un costante senso di malinconia e da una profonda dolcezza, infatti, la pellicola ora come non mai diventa sia una riflessione sulla forza necessaria a superare i duri e ingiusti colpi che sa infliggere la vita, sia una favola politica dai connotati fortissimamente progressisti.
Gli anni ’30 nei quali ci portano le due ore e dieci di Mary Poppins Returns (sembrano tante, ma sono 9 minuti in meno del film del 1964) ricordano esplicitamente il pesante clima internazionale della contemporaneità, e i versi che il personaggio di Lin-Manuel Miranda dedica a Londra nell’apertura della pellicola sembrano rivolgersi direttamente a quella Gran Bretagna ancora incredula davanti alla Brexit. Allora come oggi ritroviamo un mondo in cui si è smesso di guardare al futuro con speranza e in cui la fiducia verso la società è progressivamente soppiantata dall’impotenza e dalla rassegnazione. Nonostante ciò, mentre i forti (il banchiere Wilkins) infieriscono sui deboli, qualcuno (Jane Banks) continua a battersi per i diritti altrui, qualcun altro (Mary Poppins) fa del soccorso a chi è in difficoltà la propria ragion d’essere, e qualcuno (il meraviglioso piccolo Georgie) non teme di trasgredire regole ‘sbagliate’.
L’IMMAGINAZIONE COME EMANAZIONE DELL’ALTRUISMO
Uno degli aspetti più interessanti e addirittura inaspettati del film è il confronto tra il punto di vista degli adulti e quello dei bambini: uno spunto preso dal primo film ma decisamente potenziato e ampliato. Se i (nuovi) piccoli Banks inizialmente non faticano a credere di aver visto Mary volare con un aquilone, i fratelli Michael e Jane, ormai adulti, sono convinti che nulla di quel che ricordano riguardo a quella tata così speciale sia mai accaduto. Attribuiscono infatti le proprie memorie alla capacità di un bambino di filtrare e rielaborare ciò che lo circonda con l’immaginazione, e se il film sembra suggerire che le doti magiche di Mary Poppins siano assolutamente vere, dall’altro lato rimane il dubbio che quelle strane avventure siano solo la manifestazione immaginaria del potere di portare speranza nella vita di qualcuno.
Il confine tra sogno e realtà si fa così labile da far sorgere dubbi anche nei bambini e, quando i personaggi della realtà iniziano a riverberarsi su quelli del mondo a cartoni animati, ogni disquisizione su ciò che è reale o fantastico perde senso. Quel che conta è il modo in cui si guarda al mondo, sembra dirci il film, e anche senza un supercalifragilistichespiralidoso ci insegna quanto il bambino che portiamo dentro di noi sia fondamentale soprattutto nei momenti più aspri della vita. D’altrone un eccentrico equilibrio tra ribellione e ordine è la quintessenza del title character.
LA BLUNT È PERFETTA, MA LA VERA STAR È UN IMMENSO LIN-MANUEL MIRANDA
Julie Andrews, che era così incredibilmente in stato di grazia da essere quasi ultraterrena, è Mary Poppins; ha definito il personaggio e nessuna attrice potrà mai pensare di confrontarsi con lei. Detto ciò, Emily Blunt offre una performance assolutamente incredibile, che arricchisce la celebre tata di sfumature diverse e che è tanto minuziosamente cesellata da far pensare che non potesse esserci una scelta di casting più felice. Seguendo – canzone dopo canzone – il film in lingua originale, è chiarissimo che l’attrice londinese si sia giocata il tutto per tutto e abbia passato chissà quanti mesi a definire ogni più piccola inezia per affrontare al meglio il ruolo. Se il suo fare risoluto ma un po’ meno severo, sobrio ma leggermente più vanesio, contribuisce ad attualizzare il personaggio almeno quanto i colorati costumi disegnati da Sandy Powell, è nel cantato tecnicamente superbo (tra vibrati e glissando), nella dinamica vivissima e nelle coloriture perfettamente integrate con i recitativi che traspare tutto l’immane lavoro di preparazione.
Gli altri membri del cast sono tutti eccellenti, ma nessuno brilla quanto l’unico e immenso Lin-Manuel Miranda. Il nome di questo attore americano di origini portoricane potrà risultare quasi sconosciuto in Italia, e il suo volto lo avrete al massimo incontrato nell’episodio Storie della Mezzanotte di How I Met Your Mother. Negli USA il suo talento di compositore, paroliere, drammaturgo, rapper e attore è però noto a tutti, e il suo musical Hamilton (l’esilarante, potente e commovente racconto con costumi settecenteschi e musica rap e r’n’b della fondazione dell’America) è stato uno dei più grandi successi nella storia di Broadway, valendo al suo compositore e protagonista qualsiasi premio possibile e immaginabile, nonché la fama di genio del musical moderno. Miranda non si smentisce e, mentre con il suo fluidissimo rapping (eccellente tanto per flow quanto per enunciazione e ritmica) e le grandi doti da ballerino riesce a dar vita a un memorabile numero musicale alla luce dei lampioni, con la sua performance attoriale e la straordinaria e cartoonesca duttilità della sua voce nasale riesce a caricare di una levità rara il suo Jack.
DELLE MUSICHE STRAORDINARIE DISTRUTTE DA UN ADATTAMENTO ITALIANO VERGOGNOSO
Non esiste chiaramente Mary Poppins senza canzoni, e per questo nuovo capitolo a firmare la colonna sonora troviamo Marc Shaiman per le musiche e i testi e Scott Wittman ad affiancarlo come paroliere. Il livello musicale non sarà all’altezza dell’originale, ma non è nemmeno troppo distante. I pezzi, durante la prima visione, potrebbero sembrare piuttosto scialbi e tutt’altro che memorabili, eppure una volta fuori dalla sala i temi principali continueranno sottilmente a risuonare nelle vostre orecchie e, al secondo o terzo ascolto della colonna sonora, alcuni brani (ad esempio Can You Imagine That?, A Cover Is Not The Book o Underneath The Lovely London Sky) vi sembrerà di conoscerli da sempre e con tutta probabilità inizierete ad amarli.
Come già detto, la ricchezza dell’interpretazione attoriale e canora (in un binomio inscindibile) dei protagonisti è fondamentale per compensare la natura a volte inevitabilmente un po’ stucchevole di un musical per tutta la famiglia, ma purtroppo chiunque dovrà vedere Il Ritorno di Mary Poppins nella sua versione doppiata in italiano, dovrà subire un adattamento della parte musicale a dir poco sconcertante. Se infatti Domitilla D’Amico fa un lavoro impeccabile nel doppiare il parlato della protagonista, è Serena Rossi – che pur è un’eccellente cantante – a dare la voce ai momenti musicali, e nel farlo abbandona tutte le indispensabili coloriture date dalla Blunt e opta per una voce costantemente priva di carattere, sempre di maniera e perfettina. Problema che ha – anche e ancora di più – Giorgio Borghetti nei panni di Jack: con pochissimo talento per le parti rappate, una costante disattenzione nel provare a rendere le mille voci di Miranda e un tono sempre inutilmente vellutato e cordiale, quasi distrugge la prova superlativa di Miranda.
A ciò vanno aggiunti altri delitti dei quali non v’era decisamente alcun bisogno: ad esempio le canzoni vengono tradotte in barba a ogni senso, a volte addirittura ignorando il contesto filmico, e dei meravigliosi testi originali (perfettamente adattabili come senso, suono e metrica) non rimane quasi nulla, a favore di dilettantistiche liriche italiane che suonano malissimo, vengono stipate con molta fatica nella metrica, non hanno nulla a che vedere col labiale degli attori e a tratti non significano assolutamente niente. Come se non bastasse, risulta altrettanto amatoriale il missaggio audio delle tracce cantate, in cui una normalizzazione incredibilmente grossolana dà lo stesso volume al sussurro e all’acuto, un utilizzo smaccato dell’autotune sottolinea i limiti di alcuni interpreti e un lavoro di montaggio sonoro raccapricciante trasforma in un taglia e cuci fatto con l’accetta quello che nell’originale era un perfetto flusso musicale. Le musiche italiane di Il Ritorno di Mary Poppins sembrano quindi un audiolibro di favole sonore per la prima infanzia scritto coi piedi e postprodotto più che frettolosamente.
LA MARY MALINCONICA CHE NON TI ASPETTI
Ecco, qui emerge un vero grande scoglio in cui si imbatterà il pubblico italiano: trovare una proiezione in lingua originale è sempre difficilissimo – impossibile fuori dalle grandi città – e quindi gli spettatori dovranno trovarsi a giudicare non l’incredibile e appassionato lavoro che rende questo nuovo Mary Poppins un sequel a suo modo molto speciale, ma una pallida imitazione melliflua e sciatta, nella quale sarà difficile scindere razionalmente il giudizio d’insieme da quello dell’adattamento.
Certo, Mary Poppins Returns non è un film perfetto: qualche numero rimane deboluccio, qualche soluzione è troppo ammiccante all’originale, c’è qualche piccolo buco di trama e comunque il risultato finale risulterà eccentricamente anacronistico per bambini abituati a Harry Potter e ai cinecomic. Ciò non toglie che la componente d’intrattenimento funziona benissimo, sia dal punto di vista musicale (nella versione in lingua inglese, che potete divertirvi a sentire su Spotify) sia da quello dell’animazione (i cartoni hanno un design a dir poco superbo), e che la sceneggiatura offre degli spunti straordinari e commoventi, nonché una pluralità di livelli di lettura che non teme affatto il confronto con il classico del ’64.
Non parliamo probabilmente di un capolavoro, ma rimane un film capace come pochi altri di cogliere lo spirito del nostro tempo e di rispondervi con un rarissimo ottimismo, nonché una sarabanda di scenette per bambini che però porta con sé un messaggio eccezionalmente complesso. Non è difficile credere che possa a sua volta diventare col tempo un classico della prima infanzia per le generazioni future.
Se poi pensiamo alla scena incredibilmente coraggiosa in cui Mary – che in questo film è comunque più sorridente che in passato – si specchia in un palloncino scoprendosi «praticamente perfetta sotto ogni punto di vista» ma probabilmente sola e infelice, viene in fondo da sostenere che quel singolo momento potrebbe valere l’intero film.