David Lowery, classe 1980, è un regista straordinario, un vero e proprio autore, di gran lunga uno dei migliori della sua generazione; eppure è inspiegabilmente sottovalutato. A dirla tutta il suo penultimo film A Ghost Story, una commovente parabola sulla morte e sul tempo intrisa di poesia e melanconia, non ha nemmeno ricevuto una release cinematografica in Italia (noi l’abbiamo annoverato tra i migliori film del 2017 e tra i grandi esclusi agli Oscar).
Ora il regista che sul grande schermo si era fato notare con la bellissima avventura per famiglie Il Drago Invisibile torna a lavorare con Robert Redford per quello che l’icona del cinema statunitense ha annunciato come il suo ultimo lavoro, e il risultato – che porta il titolo di Old Man & the Gun – è una pellicola meravigliosa e sui generis che arriva nelle nostre sale il 20 dicembre con BiM Distribuione.
UNA BANDIT STORY GENTILE E CON LO SGUARDO DELLA VECCHIAIA
A ispirare Lowery, che firma anche lo script, un articolo del The New Yorker del 2003 che raccontava un’improbabile storia vera. Siamo nel 1981 e Forest Tucker (Robert Redford), pur anziano, continua a fare ciò che ha fatto per tutta la vita: il rapinatore. Insieme ai suoi affiatati sodali (Danny Glover e Tom Waits) riesce a svaligiare con grande garbo ed esperienza banche su banche; un bandito galantuomo capace di lasciare i rapinati addirittura col sorriso sulle labbra, nonché un artista della fuga in grado di fuggire da ognuno dei numerosissimi carceri dai quali da sempre ha fatto dentro e fuori.
Mentre l’investigatore John Hunt (Casey Affleck, già protagonista del precedente film di Lowery) inizia a collegare i suoi colpi e a rimanere affascinato dalla sua figura, Forest incontra Jewel (Sissy Spacek), una sua coetanea con cui inizia a fiorire un sentimento ricambiato.
LA SENSIBILITÀ DI LOWERY È IL VERO VALORE AGGIUNTO DI OLD MAN & THE GUN
Il soggetto di partenza è ovviamente interessantissimo, e l’idea di un ottantenne avventuroso che semina gentilezza mentre deruba istituti di credito è di per sé più che sufficiente a dar vita a un gran film. Quello che però fa la differenza – sempre, e soprattutto in questo caso – è il tono, e David Lowery conferma il proprio impressionante talento di infondere un caldo senso di intimità ed emozione nelle sue pellicole.
È evidente come Old Man and the Gun sia anche e soprattutto un omaggio alla carriera del grandissimo Redford – su cui il film sembra cucito addosso – e per farlo Lowery decide di fare un ‘falso storico’, replicando in tutto e per tutto l’aspetto delle pellicole della New Hollywood. Concedendosi un aspect ratio in 16:9 (seguendo una rifioritura del rapporto wide screen che ha caratterizzato questo 2018) e facendosi forte di un’elegantissima colonna sonora smooth jazz, ripropone una grana, una fotografia e delle tecniche di ripresa e montaggio (dal ricorso allo zoom ai tagli ‘a schiaffo’) che danno l’illusione di un titolo in tutto e per tutto uscito dal periodo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.
PROTAGONISTI ANZIANI E RITMI CALMI PER UN FILM CHE SCOPPIA DI VITA
Non si limita però a replicare il già visto Lowery, e così riesce miracolosamente a trovare un equilibrio ideale tra un’efficacissima gestione dell’attenzione dello spettatore e un ritmo calmo e compassato, in un mix che rende a perfezione lo sguardo maturo e sereno dei protagonisti anziani ma che tiene il pubblico incollato allo schermo.
Altro grande merito del Lowery sceneggiatore è quello di rifuggire in ogni modo lo stereotipo, mettendo al centro di questo bandit movie calmo, dolce e non senza ironia un’idea tutt’altro che sedentaria della terza età: i vecchi di Old Man & the Gun osano, vivono e amano quanto e più dei giovani – un elemento che contribuisce molto a creare un legame emotivo tra spettatore e personaggi e che rende incredibilmente emozionante un titolo che non prova assolutamente mai ad essere strappalacrime.
Visto in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, Old Man & the Gun è il ritratto poetico e indulgente di un personaggio incredibilmente affascinante, che si colloca in completa opposizione allo sguardo crudo e spietato con cui il cinema degli ultimi anni racconta il crimine. Quasi una sintesi kantiana dei personaggi che hanno definito la grandiosa carriera di Redford, nonché un grandissimo film fuori dalle mode che si pone come la miglior conclusione possibile per il percorso dell’iconico attore sul grande schermo.