Tra il voto del consiglio comunale di Verona che ha proclamato la città veneta “a favore della vita”, compiendo di fatto un salto all’indietro nel garantire alle donne piena autonomia sui loro corpi, e le consuete dichiarazioni del Vaticano, lo scorso ottobre il dibattito sull’aborto si è riacceso prepotentemente in Italia. Viene però da chiedersi se si sia mai sopito, dato che nonostante la depenalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza del 1978 la questione è rimasta spinosa, in Italia e negli altri 60 paesi circa nei quali l’aborto è regolamentato. È questo il panorama su cui si affaccia 24 Weeks (24 Wochen), il secondo film della tedesca Anne Zohra Berrached approdato in streaming gratuito all’ArteKino Festival direttamente dalla Berlinale 2016.
Dopo un esordio alla regia con una pellicola su una coppia di donne alle prese con l’inseminazione artificiale (Two Mothers, 2013), Berrached torna nuovamente su un tema di stringente attualità. Ciò che fa la differenza, in questo caso, è decisamente il tocco maturo e gentile della regista capace di narrare una storia dolorosa e complessa con una delicatezza che potremmo definire super partes senza mai scadere in facili melodrammi. Sebbene il tema principale di 24 Weeks sia, come già detto, l’aborto, è altresì interessante vedere come Berrached riesca a trattare con destrezza le dinamiche di una coppia che il sentire comune definirebbe stranamente sbilanciata. È infatti Astrid (Julia Jentsch) la colonna portante. Cabarettista di successo, la donna è sicura di sé sul palco e convinta di non voler rinunciare alla tournée nonostante la gravidanza. Markus (Bjarne Mädel), suo compagno e manager, non può che garantirle il suo sostegno.
Se decidere di non abbandonare la carriera non viene minimamente percepito come un ostacolo, i primi problemi cominciano a presentarsi quando alla coppia viene confermato che il bambino che stanno aspettando è affetto da sindrome di Down. La franchezza e la verosimiglianza con cui Berrached registra le reazioni al momento in cui la notizia viene comunicata ad amici e parenti serve già a darci la cifra di come certi temi complessi e attuali vengano affrontati nel film con attenta e perciò invidiabile disinvoltura. Ma è quando l’attenzione si rivolge su Astrid che il racconto di Berrached si fa intimo, l’occhio della macchina da presa si stringe sulla donna nel tentativo di mettere a nudo quel coacervo di emozioni contrastanti, di dubbi e di dolore che le difficoltà incontrate con la gravidanza la portano a vivere.
Ma il merito forse più grande di 24 Weeks non sta tanto nel suo non prendere una posizione netta decidendo invece di mostrare i diversi modi di approcciarsi a una scelta così difficile e delicata, sta bensì nel suo porsi con trasparenza e onestà. Sebbene da sempre abbiamo imparato che a rimanere in bilico tra bene e male si può correre il rischio di precipitare in una zona grigia cullati dal torpore del non prendersi alcuna responsabilità, Berrached compie un passo ulteriore. Si raggiunge così quel luogo in cui non solo si diventa consci del fatto che fare la scelta giusta non era possibile ma anche che bene e male non esistono più in antitesi. Non più liberi dalla colpa ma ormai in pace con questa ineluttabile convivenza, non resta altro che andare allo scoperto e raccontare la propria storia.