Finley è una donna divorziata che vive esibendosi con spettacolini erotici in webcam o rispondendo al telefono a uomini in cerca di “parole proibite” per eccitarsi. Il corpo di Finley è in gran parte tatuato, il che le dà un aspetto apparentemente aggressivo, cosa peraltro apprezzata dai “clienti” ma che stride con il volto di un colore sbiadito e tratti lievi. La sua esistenza si consuma interamente tra le pareti domestiche: il suo lavoro, qualche telefonata alla madre anziana che vive lontana dalla sua casa in Texas e raramente una chiacchierata sempre in webcam con una sua amica. Si affaccia sull’uscio di casa soltanto per aprire al fattorino, che di tanto in tanto le consegna del materiale per un progetto sui profumi che vorrebbe creare e poi vendere. La donna è divorziata e suo marito Jake ha intrapreso una dura battaglia legale per toglierle la custodia del figlio Ethan facendo leva principalmente sul suo lavoro: “Vuole dimostrare che faccio la puttana e che sono una cattiva madre”. Il rischio di poter perdere Ethan è per lei “solo” una grande preoccupazione perché il mondo che si è costruita sembra attutire anche il dolore, quasi come se fuori quella casa avesse lasciato la capacità di esprimere emozioni forti, magari anche violente. Perfino il sortilegio che è convinta di fare con i suoi preparati alchemici per togliere all’ex marito il potere di procurarle dolore ha come presupposto “senza far male a nessuno”.
Finley ha scoperto di avere un cancro alla pelle quando era incinta e in realtà i suoi tatuaggi vanno di pari passo all’evoluzione della sua malattia. Si scoprirà così che un corpo apparentemente aggressivo è esso stesso vittima di un dolore cancellato; più che rimosso o nascosto, soffocato. Solo la piccola ma potente mano dell’amore, quella del figlioletto Ethan, la porterà ad uscire di casa e probabilmente a confrontarsi e fare i conti con il mondo esterno.
Flesh Memory, il docufilm del giornalista e regista francese Jacky Goldberg disponibile in streaming gratuito su ArtKino fino al 31 dicembre, pur muovendosi in un terreno scivoloso non concede nulla allo “scandalo”, né al pregiudizio o al facile giudizio e men che meno al voyeurismo. Quella di Finley Blake è una storia asciutta grazie alla protagonista che si muove con disinvoltura davanti all’obiettivo perennemente puntato su di lei, ma grazie soprattutto alla discrezione di Goldberg che riesce a raccontare la storia con realismo e allo stesso tempo con delicatezza e rispetto per la donna e per gli spettatori. Non è un film facile da vedere e probabilmente chi lo guarderà avrà bisogno di tempo per farlo sedimentare. Intanto potrà però godere di una telecamera con le idee chiare e padrona della situazione nonché di un montaggio praticamente perfetto che si tiene alla larga da tentazioni di cinema gridato. Goldberg non cerca la benevolenza del pubblico ma soprattutto porta in scena poco più di cinquantasette minuti di girato senza nessun proposito di dare né soluzioni né assoluzioni.