Adam McKay era atteso alla prova del nove: il regista e sceneggiatore americano, reduce dal successo de La Grande Scommessa (suggellato da un premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura Non Originale), aveva infatti l’onere di dimostrare nuovamente al grande pubblico e agli addetti ai lavori di essere un autore a tutto tondo e non solo il brillante artefice di commedie esilaranti come i due Anchorman. Grazie a Vice – L’Uomo Nell’Ombra, film in uscita nelle sale italiane il 3 gennaio su distribuzione Eagle Pictures e Leone Film Group, non ci sono più dubbi: abbiamo di fronte un grande cineasta, capace di realizzare uno dei migliori lungometraggi sul potere degli ultimi anni.
IL RITRATTO LUCIDO E TRAGICOMICO DI UN POLITICO ENIGMATICO
L’opera racconta quasi cinquant’anni di vita di uno dei politici più enigmatici della storia degli Stati Uniti: da turbolento operaio elettrico del Wyoming negli anni Sessanta, Dick Cheney (Christian Bale) diventa nel corso della sua lunga carriera all’interno delle istituzioni l’uomo più potente della Terra. Supportato dall’inseparabile moglie Lynne (Amy Adams) e cresciuto politicamente sotto l’ala protettiva del cinico membro del partito repubblicano Donald Rumsfeld (Steve Carell), Cheney cambia radicalmente il concetto di potere negli USA: durante la sua vicepresidenza, attraverso un tacito accordo con il Presidente George W. Bush (Sam Rockwell), esercita un controllo quasi totale sull’esecutivo nel periodo post-11 Settembre, momento storico in cui l’assetto geopolitico viene ridisegnato.
LA GENESI DI UN BURATTINAIO DAL POTERE QUASI ILLIMITATO
Vice – L’Uomo Nell’Ombra mostra la genesi di un convinto sostenitore dello status quo, un burattinaio forgiato da una classe politica con una visione del mondo estremamente distorta (legata a doppio filo con la finanza e le grandi multinazionali). Tuttavia Dick Cheney non è diventato uno dei personaggi più controversi e chiacchierati della storia americana recente dal nulla, anzi: se non fosse stato per Donald Rumsfeld (esponente di spicco di un partito sempre più influenzato dagli ideali neoliberisti, militaristi e antistatali dell’Università di Chicago di Milton Friedman) e soprattutto per la moglie Lynne, una brillante studentessa che ha sempre spronato il giovane Cheney a tirar fuori il meglio di sé, probabilmente il politico nato nel Nebraska sarebbe rimasto nel Wyoming nella sua misera condizione di operaio alcolista e piantagrane.
Adam McKay riesce nella difficile impresa di raccontare l’evoluzione di un uomo notoriamente molto riservato partendo proprio dalla sua vita privata, in primis ponendo al centro della scena il complesso rapporto con la coniuge: Lynne Cheney, interpretata straordinariamente da Amy Adams, è rappresentata come una sorta di Lady Macbeth molto più spregiudicata, in alcuni frangenti, rispetto al marito. La bravura di McKay e di Christian Bale è quella di mettere il pubblico nella scomoda posizione di non detestare mai del tutto colui che è stato, per molti osservatori, il vero Presidente degli Stati Uniti delle due amministrazioni Bush, sostenitore del Patriot Act (la legge che permetteva alle agenzie federali di violare la privacy dei cittadini statunitensi) e dell’utilizzo della tortura in nome della lotta contro il terrorismo. Dick Cheney, nonostante le sue spregiudicate scelte politiche, non è dipinto come un mostro senza cuore (il rapporto con la figlia Mary ha una funzione narrativa molto precisa in tal senso) ma come il prodotto di un sistema marcio in grado di rovinare le persone, moralmente e fisicamente (McKay si sofferma particolarmente sui problemi cardiaci dell’ex vicepresidente USA).
VICE: LA MATURAZIONE DEFINITIVA DI MCKAY COME AUTORE
Con Vice – L’Uomo Nell’Ombra il regista di Anchorman realizza la sua migliore pellicola: rispetto a La Grande Scommessa, McKay riesce a far emergere in modo più consistente il suo lato più serio. Ma attenzione, da un ex autore del Saturday Night Live non aspettatevi il classico biopic costruito a tavolino per la stagione dei premi: l’equilibrio tra dramma e ironia è perfetto e, grazie all’eccellente montaggio di Hank Corwin (storico collaboratore di Oliver Stone in un cult come Assassini Nati – Natural Born Killers), i 134 minuti del lungometraggio non appesantiscono minimamente lo spettatore. Come se non bastasse, oltre a confermare una solidità dietro la macchina da presa sempre più visibile, il cineasta inserisce alcune sequenze surreali di grandissimo impatto per rendere ancora più grottesca la parabola quasi shakespeariana di uno degli uomini più influenti del ventunesimo secolo.
LA TRASFORMAZIONE DI CHRISTIAN BALE E L’INSOSPETTABILE IMPORTANZA DEGLI ESERCIZI AL COLLO
Dopo aver vinto la statuetta come Miglior Attore Non Protagonista nel 2011 con The Fighter, Christian Bale potrebbe finalmente trionfare nella categoria più ambita (quella del Best Actor). Senza di lui, Vice – L’Uomo Nell’Ombra non sarebbe mai stato così coinvolgente: il lavoro svolto dall’interprete britannico classe 1974 è incredibile. Oltre ad aver preso 20 chili per il ruolo (conoscendo però la sua carriera non è una novità) Bale ha compiuto particolari esercizi per il collo, potenziandolo tanto da cambiarne radicalmente la silhouette e da provare un senso di potenza cui non era abituato: a suo dire una straordinaria fonte di ispirazione per calarsi nella psiche di un personaggio tanto influente. Bale, non c’è da sorprendersi, ha poi lavorato molto sulla postura, modificando così poi solo il corpo ma anche la voce e l’accento per immedesimarsi completamente in Dick Cheney (anche se in un’intervista recente è lo stesso attore a dichiarare che probabilmente non sottoporrà più il suo fisico ad uno stress così intenso per tutelare la sua salute). Ma bisogna anche sottolineare le performance del supporting cast: Amy Adams, Steve Carell e Sam Rockwell (quest’ultimo nei panni di un George W. Bush dipinto da McKay come un idiota) sono indubbiamente le scelte più azzeccate per rappresentare sul grande schermo i tre personaggi-chiave della vita di Cheney.
Candidato a 6 Golden Globe, Vice – L’Uomo Nell’Ombra è l’opera fin qui più matura di un filmmaker dallo stile riconoscibile e in continua evoluzione, e rappresenta un approccio inusualmente diretto al biopic, indispensabile per inquadrare una contemporaneità in rapidissimo cambiamento.