L’ultima fatica di Robert Zemeckis, Benvenuti a Marwen in sala dal 10 gennaio con Universal, è un film onirico e ambizioso, sulla storia di un uomo che ha combattuto contro i suoi demoni riuscendo a sopravvivere inventando un mondo parallelo, dove i sogni incontrano la realtà. Protagonista un ottimo Steve Carell nei panni di Mark Hogancamp, artista vittima di un violento pestaggio che gli costò la memoria e protagonista del docufilm del 2010 di Jeff Marben Marwencol, su cui Zemeckis ha costruito la sceneggiatura per il film.
Reduce da un lungo e difficile periodo di riabilitazione l’illustratore di graphic novel Mark si ritrova completamente solo, non ricorda nulla del suo passato, se non alcuni momenti legati al tentato omicidio da parte di una banda di balordi che lo aggredì all’uscita di un bar. Incapace persino di scrivere correttamente il suo nome e imbottito di antidolorifici, Mark dedica quasi tutto il suo tempo ad un modellino in scala che chiama Marwen. Un vero e proprio villaggio belga popolato da bambole e modellini realistici dove il suo alter ego Hogie è un militare americano che combatte i nazisti.
Ad aiutare l’affascinante e muscoloso Hogie è una banda di guerriere sexy, trasposizione e idealizzazione delle amiche e conoscenti di Mark. Secondo Mark sono le donne che riescono a mandare avanti il mondo e quelle di Marwen rappresentano la salvezza, infondendo un senso alla sua vita, apparentemente vuota e priva di ricordi. A Marwen vivono Carlala (Eìza Gonzales) l’autista in abiti messicani, la combattente Roberta (Merritt Wever), la veterana G.I. Julie (Janelle Monàe), la russa e spietata Anna (Gwendoline Christie), la militante della resistenza francese Suzette (Leslie Elizabeth Harter Zemeckis) e l’ultima arrivata Nicol (Leslie Mann), vicina di casa dalla spiccata sensibilità, che diventa una bambola dal fascino anni cinquanta.
Ispirate alle donne che riempiono la sua vita Mark dedica loro storie appassionanti e realistiche, fotografandone ogni sequenza e facendo vivere Marwen, un mondo fantastico che trova appiglio nella realtà, aiutando il protagonista a recuperare i suoi ricordi.
Soltanto un regista come Robert Zemeckis avrebbe potuto creare un film come Benvenuti a Marwen, dove realtà e finzione si mescolano in continuazione e le bambole prendono vita con una leggerezza visiva stupefacente. Precursore della commistione tra generi con Chi ha incastrato Roger Rabbit, innovatore nel campo degli effetti speciali (Polar Express, Beawolf, A Christmas Carol) e regista di cult come la saga di Ritorno al Futuro e Forrest Gump, Zemeckis presta tutta la sua esperienza nella realizzazione di questo film, basato su una storia originale quanto emozionante. Ma effetti speciali ed esperienza non sono sufficienti per realizzare un bel film e Benvenuti a Marwen, purtroppo, ne è un esempio lampante.
Tutto sembra essere curato nei minimi dettagli, il protagonista Steve Carell che offre una performance eccellente, la maniacale trasposizione dei personaggi in miniatura, i particolari dell’abbigliamento e persino gli interni della sua abitazione, ricchi di elementi che aiutano lo spettatore a ricostruire insieme al protagonista il puzzle dei suoi ricordi. Se da un lato Zemeckis ha voluto realizzare il mondo di Marwen divertendosi a giocare con delle Barbie in carne ed ossa ha tralasciato la parte più significativa della storia, il lato umano e interiore del protagonista, che passa del tutto in secondo piano.
Il regista decide di privilegiare il mondo di plastica e lo fa già dalle prime sequenze, che vedono il protagonista Hogie al comando di una missione “umanitaria” in Belgio. La profondità dell’uomo che ha inventato un mondo parallelo per ritrovare se stesso attraverso l’arte, viene espressa soltanto nella seconda parte del film dove Mark affronta i suoi assalitori e la sua dipendenza dagli antidolorifici. Il caos mentale del protagonista si riversa troppo sulla composizione scenica che risulta scoordinata e frenetica, passando da una sequenza reale ad una di finzione troppo rapidamente, senza approfondirne gli aspetti nevralgici.
Purtroppo il film di Zemeckis presenta dei difetti anche nella sceneggiatura, soprattutto nel rapporto tra il protagonista e Nicol, la vicina di casa di cui si innamora. Una relazione anche in questo caso poco approfondita, ma così importante tanto da indurre Mark a rinominare la sua piccola città Marwencol, legando così il nome della ragazza all’immaginario villaggio belga. Non può bastare l’invito per un te e qualche chiacchiera a definire cosa sia il concetto di amore per il protagonista, fortemente traumatizzato da un divorzio che non ricorda e un incidente che ha destabilizzato il suo contatto con la realtà, che comprende anche i sentimenti.
Il gruppo di donne che Mark ama, rispetta ed omaggia nel suo plastico è sicuramente ritratto in chiave sensuale, con queste bambole in reggicalze e spesso senza reggiseno, ma non ha nulla a che vedere con una rappresentazione negativa del sesso femminile, anzi queste donne in abiti succinti sono delle vere e proprie guerriere, che se a Marwen combattono i nazisti nella vita reale aiutano il protagonista a ritornare a vivere.
Benvenuti a Marwen è dunque un film traballante, che presenta una storia talmente forte da risultare comunque interessante, sebbene ci siano evidenti imperfezioni. Zemeckis alla fine dei conti porta al cinema un bel personaggio e una morale chiara, che insegna come l’arte possa guarire e combattere la brutalità del mondo. Un film da vedere, nonostante tutto, per comprendere quanto la fragilità di un uomo possa rivelarsi anche la sua forza e che non si può rinunciare a quello che si è veramente, anche se qualcuno prova a cancellarlo.