Richard Linklater non ha certo bisogno di presentazioni: con la romantica trilogia di Prima dell’Alba, il premiatissimo Boyhood, il poetico Waking Life e anche il nazionalpopolare School Of Rock, il regista americano ha saputo spingersi in direzioni sempre diverse, dimostrandosi ogni volta in grado dei nuovi obiettivi che si poneva.
A un anno dal coming of age di Tutti Vogliono Qualcosa, Linklater ha firmato una pellicola drammatica che, almeno dal (pessimo) trailer, minacciava di essere un trionfo di retorica. La realtà però è che con Last Flag Flying, visto alla Festa del Cinema di Roma nel 2017 e finalmente arrivato in Italia direttamente su Amazon Prime Video senza nemmeno passare dai nostri cinema, non solo il cineasta statunitense non delude, ma confeziona un lavoro eccellente che si mantiene sempre miracolosamente in bilico tra il dramma più nero e la commedia esilarante.
UN RARISSIMO EQUILIBRIO TRA DRAMMA STRAZIANTE E MOMENTI ESILARANTI
Last Flat Flying è la storia di Larry, un uomo mite (Steve Carell) che nel 2003, a distanza di decenni dall’ultimo contatto, si presenta a sorpresa alla porta del suo vecchio amico Sal (Bryan Cranston), un soggetto dissacrante e allergico a ogni formalità che ora gestisce svogliatamente un piccolo bar. Con uno stratagemma Larry riesce a farsi portare da Sal in una chiesa in cui trovano un pastore claudicante dal fare saggio e conciliante (Laurence Fishburne), che con gran sorpresa Sal scopre essere Muller, un loro comune amico la cui vita giovanile era a dir poco sregolata.
I due amici di Larry, che avevano servito insieme a lui in Vietnam nel corpo della Marina, inizialmente non capiscono lo scopo di questo inaspettato e gradito ricongiungimento, ma quando l’uomo – ormai vedovo – rivelerà di aver appena perso il figlio di aver bisogno del loro aiuto per andare ad accogliere il rientro della salma, si metterà in moto una macchina narrativa efficacissima, a tratti straziante e a tratti esilarante, ma sempre malinconica.
STEVE CARELL E BRYAN CRANSTON OFFRONO DELLE INTERPRETAZIONI STUPEFACENTI
Il film è tratto dall’omonimo libro di Darryl Ponicsan (che cosceneggia insieme a Linklater), che a sua volta è il sequel di un romanzo da cui nel 1973 venne tratto il film L’Ultima Corvè.
La storia potenzialmente strappalacrime (e, vi assicuriamo, i momenti che fanno leva sulla commozione non mancano) viene trattata dal regista di Before Sunrise con straordinaria delicatezza, tanto che una scrittura da commedia brillante si alterna spesso a un racconto del lutto decisamente più convenzionale.
La pagina scritta però non sarebbe nulla senza degli interpreti all’altezza, e in questo senso Last Flag Flying ci porta delle performance attoriali che definire superlative sarebbe riduttivo. Laurence Fishburne è impeccabile, pur muovendosi in un terreno non molto distante da quello di molti altri suoi ruoli, e allo stupefacente e poliedrico talento di Steve Carell – che qui offre una prova veramente notevole – siamo ormai quasi abituati. Chi veramente ruba la scena è però Bryan Cranston, che con il suo personaggio irriverente e approssimativo ci regala la sua migliore interpretazione cinematografica in assoluto.
La caratterizzazione perfettamente bilanciata dei protagonisti li rende un trio perfetto, con cui più volte Linklater gioca a carte scoperte trasformando i personaggi dei due amici di Larry nelle opposte voci della coscienza del protagonista, un consigliere ‘buono’ e uno ‘cattivo’ il cui rapporto con il personaggio di Carell è molto meno semplice di quanto non potrebbe sembrare all’inizio.
LINKLATER DIPINGE IL COMPLESSO RAPPORTO DEGLI USA CON IL MILITARISMO
Il vero valore aggiunto con cui Linklater riesce a trasformare quello che avrebbe potuto essere un comunissimo dramma in un film decisamente più complesso, è una lettura dualistica del rapporto degli Stati Uniti con la guerra e l’esercito.
Se da una parte siamo portati a comprendere senza difficoltà (ma non acriticamente) il punto di vista militarista grazie a una vivida narrazione del senso di appartenenza al corpo, dell’orgoglio di rischiare la vita per il proprio paese, di un sentito patriottismo e dello spirito di sacrificio, dall’altra vediamo la grande bugia della guerra esposta in tutta la sua miseria: la retorica dell’eroe, l’efficacia delle missioni militari statunitensi e la prepotenza manipolatoria dello stato sulle vite dei singoli sono concetti che attraversano tutto il film, plasmandone il significato.
La posizione di Richard Linklater dai più maligni potrebbe esser bollata come cerchiobottista, certo, ma ci piace guardare il bicchiere mezzo pieno e interpretare le scelte operate in fase di scrittura come la volontà di un grande autore di ritrarre il complesso rapporto tra americani e forze militari senza cedere a facili stereotipi, mantenendosi in un terreno Sofocleo in cui i doveri verso lo stato e quelli verso la famiglia spesso confliggono.
Non la migliore pellicola dell’americano, ma certamente un lavoro di grande delicatezza e maturità, con interpretazioni che da sole basterebbero a consigliare senza dubbio alcuno la visione.