Il tormento dell’assenza e l’inquietudine interiore sono al centro de La Douleur, racconto autobiografico di Marguerite Duras adattato per il cinema e diretto dal regista francese Emmanuel Finkiel in sala dal 17 gennaio grazie a Valmyn e Wanted e candidato della Francia nella corsa al Miglior Film Straniero agli Oscar. Il libro (titolo italiano Il Dolore) venne scritto nel 1944 ma fu pubblicato soltanto nel 1985, anno in cui la scrittrice decise di condividere questi appunti dimenticati in una casa di campagna e redatti in forma di racconti brevi e diari personali.
UNA STORIA VERA CI MOSTRA IL LATO OSCURO DELLA FRANCIA COLLABORAZIONISTA
La storia narra le inquietudini di Marguerite (Mélanie Thierry), una giovane scrittrice e membro della Resistenza francese di Parigi insieme al marito Robert Antelme (Emmanuel Bourdieu), anch’egli scrittore. Dopo l’arresto di Robert, in pena per una possibile deportazione in Germania, Marguerite instaura una controversa relazione con il collaboratore del Governo di Vichy Rabier (Benoît Magimel) per cercare di estorcere informazioni sul marito e sui compagni prigionieri. Mentre la donna mette costantemente in pericolo la sua vita, Parigi viene liberata e iniziano a diffondersi le voci sulle atrocità compiute dai nazisti nei campi di concentramento. Marguerite inizia a provare un lungo ed estenuante dolore per il mancato ritorno del marito che mette a dura prova il suo spirito di sopravvivenza e la sua psiche.
IL DOLORE E IL SENSO DI COLPA DI UNA DONNA INNAMORATA IN COSTANTE PERICOLO
Il regista, per la sceneggiatura del film, si è avvalso di due racconti in particolare: Rabier, che tratta le ultime settimane dell’occupazione nazista, e La Douleur, ambientato nel 1944 dopo la liberazione di Parigi. La scrittrice, che in questo adattamento per il cinema ha il volto di Mélanie Thierry (The Zero Theorem, Perfect Day), prese parte alla Resistenza francese e fu tra le fondatrici di Livres, una rivista che raccoglieva i nomi di tutti i sopravvissuti; raccontando se stessa, le persone e i luoghi della Parigi del 1944, illustra al lettore la storia dell’occupazione nazista in Francia.
La Douleur è un romanzo particolarmente difficile per forma e interpretazione, in cui l’autrice cambia continuamente registro passando repentinamente da uno stato d’animo all’altro ragionando sul senso di colpa, sul concetto di libertà e amore e, soprattutto, sul dolore inteso in forma concettuale, una sorta di elucubrazione sui sentimenti e sui pensieri più intimi. Filosofia o realtà? Vera sofferenza o finzione? Queste sono le domande che Marguerite Duras, grande scrittrice e pensatrice libera, si pone nel suo libro, non annoverato tra i suoi capolavori (Hiroshima Mon Amour e L’Amante su tutti) ma di forte impatto emotivo e storico.
Il cineasta Emmanuel Finkiel ha deciso di mettere in scena una pagina nera della storia transalpina anche per ricordare la sorte toccata a migliaia di dissidenti politici ed ebrei francesi (tra cui suo nonno e suo zio, morti nel campo di concentramento di Auschwitz) ma soprattutto per far comprendere allo spettatore il senso dell’attesa, che logora e cambia per sempre la vita di chi si ritrova ad essere un inconsapevole sopravvissuto. Dotato di un’innata classe, collaboratore di registi come Jean-Luc Godard e Krzysztof Kieślowski, Finkiel riesce abilmente nella trasposizione di un romanzo complesso e controverso come La Douleur trovando alcuni escamotage in grado di infliggere al pubblico quella sensazione di inadeguatezza che la protagonista vuole comunicare.
La narrazione si dipana su due archi temporali, inizialmente ben separati, che in seguito si intrecciano tra loro, dopo il climax rappresentato dall’apice del dolore e da una frattura psicologica irrimediabile dell’io narrante. L’iniziale razionalità che spinge Marguerite a buttarsi tra le braccia del nemico, pur di avere informazioni sul marito, lascia pian piano spazio alla disperazione ma anche alla ricerca di nuovi sentimenti che si scontrano nella mente della protagonista. Le luminose strade di Parigi e i chiassosi bouillon, sede degli incontri tra Marguerite e Rabier, lasciano spazio soltanto alle grigie mura domestiche, alle coperte polverose e agli incontri sempre più ravvicinati con l’amico Dionys, in un iter narrativo perfettamente delineato dal regista. A risultare più caotica è l’interpretazione del rapporto tra la protagonista e il marito; tuttavia Finkiel qui ha voluto lasciare libero lo spettatore di esprimere il proprio giudizio.
Portare sul grande schermo un’opera talmente personale, basata prevalentemente su un dialogo mentale, non è certamente un’operazione facile ma Emmanuel Finkiel e gli attori protagonisti sono riusciti a fare di La Douleur un ottimo film, emozionante e al tempo stesso riflessivo. Un lavoro ammirevole per l’adattamento di un romanzo importante sia nella forma che per la complessità degli argomenti trattati.