Quella che noi oggi conosciamo come una delle pagine più buie della storia dell’umanità, la persecuzione degli ebrei, non iniziò subito con i campi di sterminio, il punto probabilmente più atroce e nefasto raggiunto dall’uomo. Come sempre accade nei processi storici si parte dalle parole bugiarde, calunniose, violente, discriminatorie, fino a quando esse, rafforzate dalla propaganda di regime, penetrano nelle coscienze, offuscandole.
E fu esattamente quello il momento in cui si precipitò nel vuoto. Prima di allora in Polonia vivevano milioni di ebrei perfettamente integrati. Degli otto quotidiani polacchi di allora, sei erano scritti in yiddish, il dialetto più in uso nella lingua ebraica. Poi, come è noto, qualcosa cambiò. Nel 1939 furono 350mila gli ebrei rinchiusi nel ghetto di Varsavia, nel novembre del 1940 arrivarono a 450mila e il ghetto fu definitivamente chiuso costringendo così la numerosa comunità di esseri umani ad una forzata e disastrosa “autarchia” che nel volgere di poco tempo portò fame, malattie, disperazione, morte. Chi sopravvisse fu portato a morire nei campi di concentramento.
In questo contesto il dottor Emanuel Ringelblum, uno storico polacco di origine ebraica che già prima delle persecuzioni si occupò di iniziative solidali, assistenziali e filantropiche a favore di donne violentate, poveri e bambini orfani, promosse all’interno del ghetto un’organizzazione segreta, passata alla storia con il nome di Oyneg Shabes, allo scopo di poter far arrivare ai posteri le testimonianze di chi subì quelle atrocità, colmando così i vuoti creati dalla propaganda nazista. La vicenda viene portata sul grande schermo dalla regista statunitense Roberta Grossman con il film Chi Scriverà la Nostra Storia, prodotto tra l’altro da Nancy Spielberg, sorella d’arte. Il lungometraggio è un docufiction che prende come riferimento il libro di Samuel D. Kassow “Who Will Write Our History?” che descrive dettagliatamente la creazione dell’archivio segreto del ghetto di Varsavia.
Chi Scriverà la Nostra Storia, in sala dal 27 gennaio (la Giornata della Memoria) grazie a Wanted Cinema e Feltrinelli Real Cinema, tra materiale d’archivio e ricostruzione in studio porta lo spettatore, per la prima volta al cinema, dentro quelle nefandezze descritte da chi le aveva realmente subite. L’Oyneg Shabes è una delle vicende storiche meno conosciute di quegli anni e non è probabilmente un caso che il progetto sia stato portato avanti e realizzato da Roberta Grossman e Nancy Spielberg, due donne che hanno dedicato gran parte delle loro rispettive carriere professionali ad occuparsi della persecuzione degli ebrei e, più in generale, di diritti umani.
Emanuel Ringelblum, che a Varsavia viveva già nell’area cittadina che poi divenne il ghetto, radunò intorno a sé storici, economisti, giornalisti, artisti, una sessantina di persone. Ognuno doveva scrivere tutti i giorni ciò che vedeva e ciò che udiva per trasmettere alle future generazioni un punto di vista che non fosse quello tedesco. In quel momento era la storia scritta dai perdenti. Ne scaturirono migliaia e migliaia di pagine che dopo i bombardamenti e la fine del nazismo solo in parte furono ritrovate sotto le macerie. Nel 1999 tre collezioni di documenti furono inserite nel Registro della Memoria del Mondo dell’Unesco.
Dal punto di vista storico è un lavoro certosino, fatto in collaborazione con tanti studiosi e con lo stesso Samuel D. Kassow. Ma altrettanto interessante il prodotto cinematografico. Rigorosissimo e riuscitissimo nella cura dei dettagli scenici (un lavoro immenso che risulta tutto) e tecnici, il film è stato preceduto da un lavoro documentaristico di tutta la troupe per far sì che qualsiasi oggetto, anche il più minuscolo come una penna o un laccio di scarpe, corrispondesse in tutto e per tutto all’epoca e ai fatti raccontati. “Per evitare qualsiasi elemento che avrebbe potuto ingannare il pubblico – ha dichiarato la regista – gli attori vengono ripresi su un fondale green screen con filmati d’archivio”. Joan Allen e Adrien Brody le voci dei due protagonisti; le loro parole sono letteralmente quelle trascritte negli archivi dell’Oyneg Shabes. Tutto il resto è sofferenza e commozione.