Il panorama cinematografico italiano è perlopiù disarmante, ostaggio com’è di un sistema che si trascina senza sussulti e senza particolari ambizioni e che si regge su un proliferare incontrollato di commediole perlopiù insignificanti (quando va bene) e di pigri drammi pseudo-autoriali. Succede solo raramente – molto raramente – che qualche autore abbia il coraggio di prendere una strada particolarmente rischiosa e, quasi mai, che il frutto di tali azzardi superi ogni più rosea aspettativa. Ebbene Il Primo Re, nuovo film di Matteo Rovere, non solo rappresenta una folle scommessa vinta, ma è una di quelle rarissime pellicole capaci di far fare un salto in avanti a tutto il nostro cinema, risvegliandolo dal suo stato semi-comatoso e dimostrando quanto straordinariamente fortunato possa essere il mix tra talento, originalità e intelligenza produttiva.
IL PRIMO RE: UN’EPICA CRUDA IN LATINO ARCAICO
Il Primo Re trae liberamente ispirazione dal mito fondativo di Roma e mette in scena i momenti più importanti della vita di Romolo e Remo con toni crudi ed epici, facendone una violenta storia di sopravvivenza intessuta di mistero e senso del destino, in cui i (pochi) dialoghi sono affidati al latino arcaico sottotitolato. Un’operazione che quand’è stata annunciata poteva ricordare l’approccio ‘filologico’ adottato da Mel Gibson per La Passione di Cristo e Apocalypto, ma che in realtà rivela sin dalle primissime scene un’identità ben diversa.
Ciò che rimane di Romolo e Remo è una serie di testimonianze riportate con ricchezza di immagini simboliche da storiografi e autori dell’antichità classica, nonché una leggenda modulata sull’archetipo del fratricidio e del riscatto di una nobile discendenza. Una storia i cui contorni sono sostanzialmente sconosciuti al grande pubblico, e che quindi gli sceneggiatori Filippo Gravino, Francesca Manieri e Matteo Rovere si possono permettere di trattare con grande libertà, sacrificandone gli aspetti più popolari (dalla discendenza da Enea alla celebre lupa) a vantaggio della verosimiglianza, e costruendo il tutto a partire dalle solide motivazioni dei protagonisti, il cui rapporto diventa ben più profondo e complesso di quello tramandatoci nel corso dei millenni. La magistrale interpretazione di un Alessandro Borghi perfetto e le solidissime performance di Alessio Lapice e Tania Garribba sono fondamentali proprio nel rendere giustizia all’ottimo lavoro di scrittura dei personaggi.
UN GRANDE FILM D’AZIONE INTRISO DI VIOLENZA E BRUTALITÀ
Quello che stupisce di un’opera del genere è che Matteo Rovere (che già aveva fatto un buon lavoro con Veloce Come Il Vento) non solo riesce a non renderla noiosa e compiaciuta, ma addirittura ne fa un lavoro capace di tenere incollato lo spettatore allo schermo, confezionando un trionfo di azione che sembra una versione assai più sobria e cinematograficamente elegante dell’immaginario dello Snyder di 300 e che al contempo offre allo spettatore più consapevole una pluralità di livelli di lettura di rara ricchezza.
Il Primo Re trascina sin dalla primissima scena nel cuore dell’azione, con un’inondazione che sottolinea a livello simbolico l’importanza del fiume Tevere nella vita dei fratelli e il tema della natura ostile, e che altresì aggredisce il pubblico chiarendo immediatamente che non si troverà davanti un film lento e meditativo. Tra carrellate, camera a mano, dolly zoom e momenti ipercinetici – grazie anche all’eccellente montaggio di Gianni Vezzosi – si va costruendo subito un linguaggio che sarà fondamentale e curato quanto ogni altro aspetto della messinscena, dalle coreografie delle violentissime scene di battaglia agli eccellenti effetti pratici e visivi, passando per lo straordinario connubio di verosimiglianza storica e spettacolarità di costumi, scenografie, oggetti scenici, trucco, lingua e location. Solo la colonna sonora di Andrea Farri si discosterà dall’approccio d’insieme, azzardando l’anacronismo con tappeti synth analogici che comunque faranno il loro dovere.
LA GRANDEZZA DELLA SCENEGGIATURA: IN FILIGRANA UN FILM DI STRAORDINARIA PORTATA INTELLETTUALE
Quel che più sorprende de Il Primo Re però non è tanto un certo gusto per la spettacolarità dal forte sapore statunitense, ma la ricchezza di una scrittura che non può nemmeno affidarsi ai dialoghi, giacché gli scambi parlati sono ridotti al minimo.
La storia della fondazione di una città non può non toccare i temi della ricerca della stanzialità, dell’individuazione di valori condivisi, e della nascita di convenzioni sociali e – quindi – di interessi comuni. Una storia di affermazione dell’uomo sul proprio ambiente che, sotto la lente di Rovere, diventa anche una parabola su una profonda trasformazione antropologica, nella quale individui impauriti e quasi senza alcun controllo su un mondo ostile prendono in mano le redini del proprio destino e diventano artefici della propria fortuna, rivendicando il proprio primato su ciò che li circonda. Da prede a predatori, da predatori a uomini.
Per giustificare una trasformazione tanto radicale serve ovviamente un fulcro narrativo, e il film lo individua nel sacro. Ne Il Primo Re la dimensione metafisica è rappresentata da un concetto sfumato, in cui l’idea astratta, imperscrutabile e ostile del divino (la triplice dea), la sua trasposizione simbolica (il fuoco) e la figura di un tramite (la sacerdotessa) si confondono e uniscono nel concetto lato di Dio; un dio venerando e temibile quanto quel femminino con cui si identifica. “Porta il dio, non saremo più soli” raccomanda Romolo a Remo aggrappandosi a qualcosa di più grande per affrontare il disagio esistenziale, eppure l’intuizione geniale è quella di fare del Dio l’unico vero villain della pellicola. In particolar modo dal vaticinio che annuncerà il fratricidio di uno dei protagonisti, la mano del destino diventerà una presenza invisibile e minacciosa, cui opporsi con ogni forza appellandosi a una primordiale volontà di potenza, e nella quale però consolarsi quando quella stessa spinta vanagloriosa avrà consumato le mal riposte ambizioni.
LA NASCITA DI ROMA È ANCHE LA NASCITA DELLA PIETAS
La Romanità si fondava – almeno nella sua epica – sul concetto di pietas, e cioè un concetto che non corrisponde alla pietà comunemente intesa (con cui viene spesso erroneamente confusa) ma a un sentimento di altruismo verso il prossimo e di devozione verso gli Dei e i doveri terreni e ultraterreni. La premessa fondamentale per una società sana, secondo gli antichi. La grandezza de Il Primo Re – che pur non tralascia l’animo imperialista ed espansionistico – è proprio di riuscire a inserire in filigrana un tema tanto complesso come l’origine della pietas romana, passando perdipiù attraverso l’evoluzione di questa a partire dal corrispondente greco, la eusebeia, che rispetto all’equivalente latino implicava una sfumatura legata al timore del potere divino (la radice SEB- rimanda tanto all’idea di ‘sacro’ quanto ai concetti di ‘pericolo’ e ‘fuga’).
Come Enea – le cui origini troiane erano un pretesto per nobilitare la grandezza di Roma e che qui non è mai citato – muoveva dall’Ellade ai lidi laziali, così concettualmente Romolo e Remo partono dalla paura e dalla diffidenza verso Dio per arrivare a volerlo proteggere a costo della vita, codificando le regole dell’esistere comune. Una ricerca di qualcosa di più grande – dentro e fuori da sé – che porta a un percorso apparentemente tutt’altro che attraente per il grande pubblico, e che invece Rovere riesce a confezionare in una sorta di survival movie ricco di azione e con pochi fronzoli.
Il Primo Re è un lavoro tutto giocato sui contrasti, che siano annidati nella rivalità tra fratelli, nel tentativo di opporsi al proprio destino, nel rapporto conflittuale col divino e col femminino, nell’idea di schiavi che diventano schiavisti e di nemici che diventano concittadini. Soprattutto, Il Primo Re ha nella sua essenza più profonda il contrasto tra proto-peplum capace di appassionare chi si esalta a vedere spadate e viscere e cinema autoriale che tocca le radici profonde della nostra cultura.
Poco importa se qualche piccolezza tecnica è perfettibile (che sia una fotografia schiava dei limiti imposti dalle ombre e le alte-luci bruciate del bosco, una desaturazione troppo omogenea sulle varie frequenze dello spettro o qualche brutta scelta di camera che espone la finzione delle coreografie nello scontro finale): siamo davanti a un’opera incredibilmente coraggiosa e di straordinaria capacità e sensibilità, in cui esistono tutte le anime di cui il nostro cinema ha bisogno. Se prima di vedere il nuovo film di Rovere avevamo paura di ritrovare troppi riferimenti al gusto Hollywoodiano, ora possiamo dire con certezza che forse quest’opera ha qualcosa da insegnare all’estero, soprattutto in termini di sceneggiatura. Anche se il fondatore di Roma, paradossalmente, è forse il personaggio che ha l’arco evolutivo più statico.
Il Primo Re sarà al cinema dal 31 gennaio con 01 Distribuzione, e dovete assolutamente andarlo a vedere al cinema.