In una fase in cui certe tematiche sono trattate con sdegno, delicatezza e un certo imbarazzo, Revenge piomba nel dibattito hollywoodiano sulle violenze di genere scatenato dal caso Weinstein con la delicatezza di un elefante in una cristalleria, scatenando una potenza che racchiude la vera forza dell’ottimo cinema di genere. La sorprendente opera prima della francese Coralie Fargeat (classe ‘76 e tanto da dire davanti a sé), appena uscita in home video per Midnight Factory in una bella edizione con tanto di booklet, è un manifesto slasher di quelli estremi, ben girato e orchestrato, in cui la violenza contro una donna diventa il pretesto per fare esplodere una vendetta impietosa e feroce che ha le piacevoli sembianze di Matilda Lutz.
L’INTRODUZIONE AL RAPE MOVIE
Una giovane e bellissima ragazza che si atteggia a Lolita (interpretata dalla Lutz), tre uomini soci in affari e compagni di caccia (Kevin Janssens, Vincent Colombe e Guillaume Bouchède) e una villa isolata arredata di lusso nel deserto del Gran Canyon: insomma, l’incipit di Revenge introduce tutti gli elementi necessari per innescare un rape movie di quelli a tinte forti, e lo fa coinvolgendo lo spettatore in una bellissima mezz’ora dove attese, silenzi e dettagli sembrano presagire il peggio per la povera bionda ingenua e apparentemente stolida. Il tanto temuto stupro arriva e con esso, per il violentatore e i suoi complici, arriva anche la paura per le sue conseguenze al di fuori di quello spazio segregato dal mondo. Così Jen finisce malissimo, gettata in un burrone proprio dal quel “buon padre di famiglia” del suo amante che decide di chiudere la questione in modo definitivo. O almeno è convinto di averlo fatto.
LA TRASFORMAZIONE IN REVENGE MOVIE
Da qui in poi Revenge si trasforma e si deforma da rape a (appunto) revenge movie, sospendendo ogni realismo della prima parte e virando invece in una improbabile resa dei conti che divora ogni brandello di logica e di coerenza narrativa. Una metamorfosi ben rappresentata da Matilda Lutz, che da biondina sognatrice di Los Angeles diventa una guerriera del deserto, a metà fra Beatrix Kiddo e Lara Croft, in una fuga dai suoi aguzzini che diventano presto l’oggetto della sua caccia impietosa. La Fargeat si mette a giocare con la vendetta verso il maschio assassino, quello stupratore e il semplice complice dei primi due, scivolando su ettolitri di sangue e insistendo su scene granguignolesche e volutamente autoironiche. Una sovrabbondanza di materiale ematico che farebbe impallidire il più feroce dei tarantiani
FEMMINISMO E FEMMINILITÀ
In questa discesa iconoclasta e a tratti spassosissima, Matilda Lutz si sente a suo agio come non mai, rivelando una capacità camaleontica fuori dal comune: esordisce come bionda oca e chiude il film mora fango, mentre la regista la segue dall’inizio alla fine allo stesso modo, con uno sguardo paradossalmente maschilista che mette in risalto le sue curve e indugiando spesso sul suo fondoschiena. Sta insomma allo spettatore, imprigionato in quel punto di vista fallocratico, riflettere sulla trasfigurazione di un corpo che, nonostante passi da essere oggetto sessuale a macchina bellica, non vuole rinunciare alla sua necessaria dose di sensualità un po’ ammiccante e maliziosa. È in questo modo che la Lutz riesce a incarnare un femminismo brutale, quello che alla fine te la fa pagare, senza però scimmiottare l’universo machista di cui è stata vittima, anzi. Nei gesti un po’ impacciati, prudenti e vulnerabili, l’eroina di Revenge sprigiona femminilità e femminismo in una simbiosi micidiale, come se a pareggiare i conti sia proprio una Donna e non semplicemente una donna-che-è-diventata-un-uomo, prendendo così le dovute distanze da un’assimilazione di genere che alla Fargeat non sembra interessare affatto.
Ecco, tutto l’immaginario di Revenge – che in fondo propone una soluzione decisamente semplicistica a tematiche complesse – potrebbe anche passare inosservato in qualsiasi altro momento storico. Ma di questi tempi no, e non ci possiamo fare niente se la mente corre rapida a tutti quegli uomini che in un modo o nell’altro esercitano con violenza il proprio potere sulle donne.