Captain Marvel, finalmente nei nostri cinema dal 6 marzo con The Walt Disney Company, si attesta ovviamente sugli ottimi livelli qualitativi cui ci ha abituato il MCU, eppure è anche il classico esempio di film pensato, nato e realizzato con il fiato sul collo. Tanto per cominciare è il primo titolo del Marvel Cinematic Universe ad avere come protagonista una donna, una volta tanto con grande ritardo rispetto all’ormai defunto DCEU, che aveva proposto ben due anni fa – e con grande successo – la sua pellicola dedicata a Wonder Woman. Dopo venti film di un vasto ed eterogeneo universo narrativo della Casa delle Idee, di figure femminili importanti in casa Marvel ne abbiamo viste parecchie (purtroppo anche troppe stereotipare donzelle in difficoltà), ma mai nessuna era riuscita ad avere il proprio nome scritto a caratteri cubitali (da solo) su un cartellone pubblicitario, neanche la bravissima e quotatissima Vedova Nera/Scarlett Johansson. Ora, un anno dopo il caso Weinstein, il Me Too e tutto quello che ne è seguito, gli occhi del mondo erano inevitabilmente puntati su Carol Danvers, un’eroina che entrava in un mondo – purtroppo – ancora molto maschile con un peso sulle spalle non indifferente.
CAPTAIN MARVEL, L’INIZIO IN MEDIAS RES E UNA STRUTTURA INUSUALE PER IL MCU
La storia di Carol inizia senza troppi giri di parole, senza rituali presentazioni o prologhi. Non sappiamo bene dove siamo e chi sono i personaggi, eppure la nostra conoscenza parziale coincide con quella della protagonista. Carol conosce già i suoi superpoteri – percorso inverso rispetto allo sviluppo del supereroe – ma deve ancora scoprire se stessa – come nei migliori percorsi dell’eroe. Ha ricordi confusi riguardo il suo passato e questo la rende incompleta, molto più vicina all’umano rispetto a tanti superuomini Marvel. Non occorre molto tempo per capire che la struttura della pellicola sarà qualcosa di diverso rispetto alla tipica origin story.
OTTIMI ELEMENTI DI BUDDY MOVIE PER UNA WRITERS’ ROOM AFFOLLATA
Captain Marvel è un film di coppie. Alla regia troviamo Anna Boden e Ryan Fleck, una squadra che lavora insieme da molti anni con un background di lavori indie lontano anni luce dalle atmosfere della Casa delle Idee. Un’altra coppia è quella formata dalla protagonista e un giovanissimo Nick Fury (un Samuel L. Jackson dal trucco dispendioso ma convincente): uno stupefacente duo che sembra uscito direttamente da un buddy movie. Funzionano talmente bene che avremmo voluto vederli molto di più insieme. Carol e Nick hanno un’ottima chimica, sono sinceramente divertenti e soprattutto il loro rapporto ha un’evoluzione narrativa giustificata e interessante. Per chiudere il cerchio ci sarà anche Goose, un gatto dal pelo rosso che sarà davvero difficile non amare (d’altronde è stato inserito proprio per quello).
Ma è nascosto tra i titoli di coda il vero nodo problematico di Captain Marvel: la pellicola è stata scritta da otto persone. Si esatto, esattamente otto: Anna Boden, Ryan Fleck, Nicole Perlman, Geneva Robertson-Dworet, Meg LeFauve, Liz Flahive, Carly Mensch. Questo ha causato drastici cambi di tono in una continua corsa impazzita tra una penna più vicina allo stile tipico del Marvel Universe e un’altra che, probabilmente, se ne voleva allontanare. Il risultato è che Captain Marvel vanta sia un gusto per i dialoghi contenuti e un’ironia tipicamente indie dosata e funzionale, che un efficace ma meno asciutto stile alla James Gunn de I Guardiani della Galassia. Il risultato è una certa disomogeneità nei dialoghi che non è troppo fastidiosa, ma sicuramente poco raffinata.
TANTA NOSTALGIA PER I ’90, MA BRIE LARSON È FANTASTICA
Un altro piccolo passo falso si ritrova nella rappresentazione degli anni Novanta. Il film non vive l’epoca in cui è ambientato, ma prova nostalgia per quel periodo. Un sentimento che fa diventare lo sforzo di diversi reparti un lavoretto di taglio e cucito con poca anima. La location tipica, il brano inserito a forza, l’occhiolino a una serie di oggetti incorniciati in diversi primi piani. Sembra di vedere gli anni Novanta con una grande freccia al neon che ci ricorda continuamente la loro presenza.
Ben interpretato e delineato con spessore da Brie Larson, Captain Marvel ci regala però l’eroina giusta, sfaccettata e importante di cui avevamo bisogno: centrale la sua voglia di autodeterminazione, la grinta, la perseveranza, ma anche l’ironia, la sensualità e l’intelligenza.
«IO NON TI DEVO DIMOSTRARE NULLA», PERÒ…
“Io non ti devo dimostrare nulla” urla Carol nella parte finale del film. Una frase importante – la più giustificatamente ‘impegnata’ – che riassume bene l’anima ribelle della protagonista. Peccato che sembri esattamente l’opposto di quella che pare essere l’idea alla base del film nella sua totalità. Una storia che, ancor prima di narrare, sente il bisogno di dimostrare tanto, finendo per perdersi qualcosa. Non c’è comunque dubbio che gli spettatori si godranno un paio d’ore di ottimo intrattenimento, così come è sicuro che ameranno Goose.