Sul finire degli anni Cinquanta il regista Giuseppe De Santis compone quella che viene definita la Trilogia della Terra. Caccia Tragica, Riso Amaro e Non C’è Pace tra gli Ulivi si posizionano all’interno della sua filmografia come portavoci di quella tendenza militante che il cinema si era riproposto di avere. Il lungometraggio è cioè uno dei tanti mezzi che permettono all’autore di intervenire sulla realtà tramite la denuncia sociale, contribuendo così alla teorica creazione di un movimento di rinascita. Riso Amaro, ora finalmente disponibile nella versione restaurata in 2k su blu-ray CG Entertainment e Cristaldi Film, si distingue dagli altri due film per essere quello che meglio rappresenta il pastiche post moderno che è alla base non solo della Trilogia della Terra, ma di tutto lo stile di De Santis.
La vicenda prende vita sullo sfondo delle risaie del vercellese, dove le mondine – le braccianti stagionali assunte per la raccolta del riso – si accingono a lavorare per la stagione. Prima di partire, le donne si ritrovano nel bel mezzo di una manifestazione di operai della Fiat. Tra i manifestanti si nascondono però due banditi che hanno appena rubato una preziosissima collana. Walter (Vittorio Gassman) e Francesca (Doris Dowling) sfuggono agli agenti di polizia prendendo parte al gruppo delle mondine. Tra quest’ultime c’è anche Silvana (Silvana Mangano) che, oltre ad avanzare pretese sulla collana, si invaghirà di Walter, ponendo le basi per una vera e propria storia di amore criminale.
In Riso Amaro salta subito all’occhio l’evidente commistione di diversi generi e diverse culture cinematografiche. Lo stile del grande cinema hollywoodiano, particolarmente fertile negli anni Cinquanta, si mescola perfettamente al Neorealismo italiano, mentre al melodramma popolare si contrappone il cinema verità. Memorabile infatti l’incipit, dove, nel bel mezzo della manifestazione operaia, un giornalista radiofonico racconta al mondo la realtà del lavoro delle mondine, guardando direttamente in macchina. È chiaro qui il messaggio politico che De Santis vuole trasmettere, ma il suo linguaggio rimanda continuamente a quei gusti americani che testimoniano un nuovo mondo in fermento. Non solo la radio, ma anche il boogie-woogie, le chewing-gum e la musica, sono tutti simboli di un mondo che sembra lontanissimo dall’Italia proletaria. De Santis dirà che tutti questi elementi sono semmai feticci di un mondo occidentale dedito al capitalismo, ma a distanza di anni ci si accorge come siano in realtà il fondamento di una certa ideologia cinematografica entrata nell’immaginario di tutta quella generazione di registi.
De Santis infatti non rinuncia mai, con un certo narcisismo, a una regia dichiarata, totalmente in contrapposizione con la dialettica neorealista dell’inseguimento. Qui la macchina da presa è evidente, e il cinema diventa intrattenimento tramite il largo utilizzo del dolly, del carrello e del piano sequenza. De Santis non nasconde cioè il suo talento dietro la macchina da presa, e si concede al pubblico come solo il grande cinema hollywoodiano sapeva fare.
Testimonianza di questo è la naturalezza con cui il regista passa da un linguaggio all’altro senza mai distogliere l’attenzione su una storia che diventa per lo spettatore sempre più piacevole. Il finale è di una modernità assoluta per un film del 1949. Non solo la denuncia sociale (raccontata tramite la lotta interna tra le mondine regolarmente assunte con quelle irregolari) diventa una detective story, ma la storia d’amore criminale sfocia in una scena degna del miglior film western. Il duello finale non è affidato ai due protagonisti maschili – al Walter di Gassman si aggiunge nel corso del film il militare Marco, interpretato da Raf Vallone – ma alle due contendenti del bottino e dell’uomo, Francesca e Silvana.
Riso Amaro è certamente uno dei più grandi film della nostra storia, ma è soprattutto la testimonianza di un grande talento, simbolo di un epoca che andava trasformandosi. E De Santis, con la sua Trilogia della Terra, ha dimostrato di saper anticipare i tempi parlando dei problemi sociale della realtà femminile, ma con il gusto che il grande cinema impone: un’opera d’autore che sia in grado di intrattenere e restare nella coscienza del pubblico.