C’è uno specifico momento, una singola scena, che da sola basterebbe a descrivere l’incommensurabile grandezza della regia di Homecoming, serie Amazon Prime del 2018 che però ha debuttato solo quest’anno nella sue versione doppiata in Italiano sul web service di Bezos. Senza spoilerare nulla sul contenuto della scena, basti dire che ci riferiamo a quello che è probabilmente il passaggio più importante di tutta la stagione, nel quale viene proposta una transizione dal rapporto d’immagine quadrato 1:1 al 16:9 – niente che non sia già stato visto al cinema, verrebbe da dire – che però è non solo creativamente perfetta, ma tecnicamente superba. La protagonista si trova davanti a una scoperta importante, e il suo improvviso stupore viene raccontato con un dolly zoom (il movimento di macchina inventato dall’operatore Irmin Roberts per le vertigini in La Donna che Visse Due Volte di Hitchcock e che fa ‘respirare’ il piano di sfondo) sincronizzato con il suddetto cambio di aspect ratio. Intanto, sullo sfondo, una sottile alterazione delle luci sottolinea la drammaticità del momento, mentre alle spalle della Roberts delle decorazioni quadrate amplificano l’effetto del movimento di macchina, al pari dei triangoli sulla parete che appaiono dietro l’interlocutore che viene subito ritratto in un allarmato controcampo di risposta. Solo un manciata di secondi, che però si colloca immediatamente tra le più alte vette registiche mai viste sul piccolo schermo.
CON HOMECOMING IL CREATORE DI MR ROBOT STUPISCE ANCORA
Homecoming, come avrete capito, non è una serie come tutte le altre. Lo showrunner Sam Esmail (già creatore di Mr Robot) l’adatta liberamente per la televisione da un podcast dello stesso titolo e ne dirige personalmente tutti gli episodi, con una cura maniacale tanto per l’intreccio narrativo quanto per l’eccellente confezione iper-formalista oltremodo debitrice verso la lezione dell’ultimo Lanthimos.
All’inizio della serie lo spettatore non è messo a parte di molti dettagli, e deve interpretare intuitivamente ciò che vede sullo schermo. Heidi Bergman (Julia Roberts) sembra essere una psicologa – o forse un’assistente sociale – che in una struttura probabilmente governativa ricavata in un complesso di uffici segue il reinserimento in società di militari affetti da disturbo post-traumatico da stress appena rientrati da missioni all’estero.
Al contempo, con un montaggio alternato e senza ulteriori informazioni, vediamo Heidi che è andata a vivere dalla madre (Sissy Spacek) e ha iniziato a lavorare come cameriera in un piccolo locale di provincia, lasciandosi alle spalle le sedute con il marine Walter Cruz (Stephan James, già protagonista di Se La Strada Potesse Parlare) e le febbrili telefonate con il capo Colin Belfast (Bobby Cannavale). A fare inizialmente da cerniera tra le due parentesi temporali, solo le indagini di un burocrate del Ministero della Difesa (lo Shea Whigham di Boardwalk Empire).
UN MISTERY DRAMA TRA THRILLER E PARANOIA
Inizialmente si potrebbe pensare che Homecoming si collochi senza grandi sorprese nel terreno del drama classico, ma non potrebbe esserci impressione più fallace. In realtà le puntate si succedono tenendo incollato uno spettatore che deve cercare di distillare scena dopo scena le coordinate della storia, con una meccanica mistery avvincente ed elegantissima, percorsa altresì da una vibrante e sotterranea tensione.
Gli arredi vintage di design degli uffici, gli ampi corridoi asettici e le alte palme su cui si affacciano i finestroni di vetro fanno da contraltare ai numerosi momenti di indubbia matrice surreale (sempre furbamente giustificati dalla storia), in un continuo gioco di contraddizioni il cui scopo è calare il pubblico nello stesso smarrimento dei protagonisti.
UNA REALIZZAZIONE TECNICA SUPERBA PER UN RACCONTO CHE TIENE INCOLLATI ALLO SCHERMO
Homecoming è una serie costruita sulla paranoia, opprimente come il formato 1:1 in cui è ‘intrappolato’ il presente della storia, in cui tutto sembra sempre più grande e incontrollabile di quanto non sia in realtà ma nella quale al contempo serpeggia un’impotenza dell’individuo verso il ‘sistema’ malato.
Ad accentuare tale vocazione vi è non solo la regia fredda e incombente di Esmail, che opta sistematicamente per simmetrie alternate a inquadrature che pesano il soggetto dal lato ‘sbagliato’ del frame, per un’opprimente camera a volo d’uccello e per carrellate e lunghi piani sequenza; ma anche la direzione della fotografia di Tod Campbell (Stranger Things, Mr. Robot), che non perde occasione di collaborare con la scenografa Anastasia White per plasmare l’inquadratura al servizio del condizionamento psicologico subliminale. Fuori dal comune anche il montaggio, che interpunge spesso tempi e location diverse collocando i comprimari in perfetta corrispondenza rispetto al frame o legando tra loro azioni affini.
Lo straordinario e disturbante commento musicale poi, fatto di armonie dissonanti e inquieti tappeti, è quasi da film horror ed è costruito perlopiù sulla citazioni di grandi colonne sonore di film degli anni ’70 e dei primi anni ’80 che parlavano di minacce, cospirazioni o misteri (da Capricorn One a Il Maratoneta, da Tutti Gli Uomini del Presidente a La Donna Che Visse Due Volte, da Carrie – Lo Sguardo di Satana a Amityville Horror).
Il debutto di Julia Roberts in televisione non poteva essere più felice, e l’eccellente lavoro del cast che l’affianca non fa che consolidare l’impressione di un prodotto solidissimo. L’attrice di Pretty Woman ha già fatto sapere che probabilmente non tornerà nella seconda stagione, che è prevista sin dall’inizio e si discosterà totalmente dal podcast (il cui arco narrativo è stato esaurito già per intero nel primo ciclo di episodi televisivi). Quel che è certo è che se uno show riesce ad essere degno di nota addirittura nei titoli di coda – ed è questo il caso di Homecoming – non possiamo che attendere con trepidazione la seconda stagione. Sam Esmail si dimostra qui più che mai un regista di immensa statura artistica, capace tanto di avere una visione potentissima quanto di concertare come pochi sanno fare la fotografia, il montaggio e la scenografia; un vero ‘direttore’ che non vediamo l’ora di ritrovare sul grande schermo, dove scriverà e dirigerà per Universal un film sul Triangolo delle Bermuda al momento ancora senza titolo.