Il premio Oscar Denys Arcand, dopo Il Declino dell’Impero Americano e Le Invasioni Barbariche chiude la trilogia sul potere economico dell’Occidente, i suoi vizi e le sue virtù. La Caduta dell’Impero Americano, in sala dal 24 aprile, è il capitolo conclusivo dello spaccato di una società alla deriva, narrato con la pungente ironia di un regista fuori dagli schemi. Tra il polar e la commedia sarcastica, il film si delinea secondo una narrazione trasversale, basata sull’azione scatenante che mette il protagonista al centro di una scena del crimine, che innesca una serie di reazioni a catena imprevedibili.
Pierre-Paul, interpretato da Alexandre Landry, è un dottore di ricerca in filosofia che sbarca il lunario facendo il fattorino per una nota multinazionale. Fervente intellettuale e impegnato come volontario in un’associazione che si occupa dei tanti indigenti di Montreal, il trentaseienne, mentre sta effettuando una consegna, si trova nel bel mezzo di una rapina finita male, con due morti e moltissimi dollari americani sull’asfalto. Le sirene della polizia si avvicinano alla scena del crimine e Pierre-Paul deve scegliere se continuare la sua vita da fattorino frustrato oppure cogliere la palla al balzo e appropriarsi del bottino. Le sue capacità intellettive lo guidano verso la seconda scelta che, inevitabilmente, porta a delle conseguenze. Per escogitare un piano efficace Pierre-Paul si affida ad un esperto di riciclaggio, appena uscito di prigione e ad Aspasia (Maripier Morin) un’esperta socialite ante-litteram. Il neonato trio di criminali dovrà vedersela con due agenti della polizia, brillanti ma ambigui, sulle tracce dei killer e con le due gang rivali, che rivendicano il bottino della rapina.
Mentre Aspasia e Sylvain (Remy Girard) mantengono il sangue freddo e continuano serenamente a svolgere il loro lavoro sottobanco, Pierre-Paul filosofeggia sul suo essere una pedina della società occidentale. Considerato socialmente come una brava persona, l’insospettabile criminale, mentre compie un atto così lontano dalla sua vita ordinaria, si interroga sul concetto di giustizia, in questo mondo dominato dalle major bancarie, guidato da politici corrotti e indotto al pensiero unilaterale da comunicatori che somigliano più ai venditori di aspirapolvere che agli intellettuali. Sorretto psicologicamente dalle teorie dei più grandi filosofi, Pierre-Paul sfida se stesso e le regole imposte dall’impero americano, che permettono ad un fattorino senza istruzione di guadagnare più di un docente universitario. Se una società sempre più tecnocratica e volta alla mercificazione dell’uomo, considerato soltanto come una marionetta nelle mani del sistema economico globale, è legittimata a compiere qualsiasi illecito pur di ottenere il risultato pianificato, allora anche Pierre-Paul che è costretto a fare il fattorino per vivere dignitosamente è chiamato a sottoscrivere le stesse regole.
Filosofia, amore, economia, politica e crimine sono le parole chiave che chiudono la trilogia di Denys Arcand sul mondo occidentale, dominato da un sistema economico e sociale che sembra atterrire gli uomini più che elevarne il potenziale. Il regista non compie un’operazione di contrapposizione tra l’uomo, inteso nell’accezione umanista, e il capitalismo, anzi dimostra come l’intelligenza e la cultura possano contrastare il sistema e come vi si oppongano insinuandosi al suo interno.
La Caduta dell’Impero Americano è sapientemente scritto e diretto, fitto di citazioni, dialoghi incredibilmente articolati e una costante critica alla società occidentale, il tutto condito con humor e sarcasmo. La maestria del regista settantenne, premio Oscar nel 2004 per Le Invasioni Barbariche, è evidente nella composizione del lungometraggio, che si articola tra il polar e la commedia, senza tralasciare i sentimenti e l’attualità. La particolarità del suo stile, oltre che nella narrazione generale, sta nell’attenta scrittura di ogni singolo personaggio, ben caratterizzato e sempre rilevante nel fitto intreccio tra politica, economia e filosofia. Citata dal protagonista Pierre-Paul, la massima di Martin Heidegger “Il destino non si può cambiare ma si può sfidare” vale anche per l’intera carriera di Arcand, un regista fuori dagli schemi, che ha sempre sfidato l’idea pop di entertainment e che con questo lavoro, chiude un capitolo di storia del cinema contemporaneo.
La Caduta dell’Impero Americano, seppur tratti argomenti piuttosto complessi, è un film così fresco e moderno, che anche la riflessione più contorta risulta facilmente digeribile. Un ottimo modo di chiudere un discorso aperto nel 1986 e riportato alla generazione dei nuovi quarantenni, un esempio della grande attenzione di un regista capace, come pochi, di usare il linguaggio popolare del cinema nel porre l’attenzione sui valori e le criticità della società in cui siamo chiamati a vivere.