Quello del western è un genere che, se escludiamo qualche divagazione particolarmente ardita in zona Tarantino o Zahler, il più delle volte parla prevalentemente a uno zoccolo duro di estimatori. Se però a cimentarsi con il genere è un cineasta come Jacques Audiard (Palma d’Oro, Gran Prix Speciale della Giuria e Prix du Scénario a Cannes, con all’attivo 4 César e un BAFTA e candidato all’Oscar per il miglior film straniero), allora c’è da aspettarsi qualcosa di decisamente fuori dal comune. Se a ciò aggiungiamo che sulla scena troviamo un poker di talenti composto da Joaquin Phoenix, Jake Gyllenhaal, John C. Reilly e Riz Ahmed, allora è chiaro che I Fratelli Sisters (titolo originale The Sisters Brothers) non può essere un western qualsiasi.
UN SOFISTICATO RACCONTO DI CRIMINALI E BUONE INTENZIONI
La storia – la cui impronta relativamente ironica emerge già dal titolo – viene dall’omonimo libro di Patrick DeWitt (Arrivano i Sisters, in Italia), di cui John C. Reilly comprò i diritti nel 2011 e il cui adattamento per lo schermo, in qualità di produttore, ha commissionato ad Audiard stesso e a Thomas Bideguain.
Debutto in lingua inglese per l’autore d’Oltralpe, il film è stato presentato in concorso alla 75. Mostra del Cinema di Venezia e racconta la storia dei fratelli Eli (Reilly) e Charlie (Phoenix) Sister, due malviventi che si occupano dei ‘lavori sporchi’ per un influente commodoro. I protagonisti incroceranno la strada con quella dell’enigmatico Hermann Kermit Warm (Gyllenhaal), i cui modi apparentemente gentili potrebbero nascondere fini a dir poco manipolatori, e con quella del chimico Morris, un utopista che ha scoperto una reazione molecolare capace di far gola a ogni cercatore d’oro. Questi quattro uomini forti e ambiziosi rimarranno spaesati quando una serie di eventi difficilmente prevedibili li porteranno a ripensare ai propri scopi e alle proprie vite, che ora forse potrebbero essere liberi di riscrivere.
THE SISTERS BROTHERS È UN MIX ANTICLIMATICO MA RIUSCITISSIMO DI WESTERN, SPY, BUDDY COMEDY E DRAMA.
A ben vedere I Fratelli Sisters non è un western, ma un post-western. Molti elementi dell’intrigo (la caccia, l’inganno, il MacGuffin, la contrattazione) si rifanno piuttosto al genere spy – nonostante qui non vi sia traccia di spionaggio – e il tono generale pesca a piene mani dalla tradizione della buddy comedy. Nonostante le molte risate, la pellicola resta però principalmente un dramma, che con inaspettata delicatezza porta lo spettatore in un terreno che al momento dei titoli di testa sarebbe inimmaginabile.
Quel che colpisce dell’opera di Audiard, infatti, è il suo essere completamente anticlimatica. Tutto quello che lo spettatore di un western si aspetta di trovare, in linea di massima, non c’è. Tutti gli sviluppi della trama che sembra di poter intuire di volta in volta, prendono in realtà una svolta inattesa. Laddove ci si aspetterebbe un picco di tensione o un momento di sollievo, arriva quasi sistematicamente l’opposto – ma senza la minima ricerca del facile effetto scenico. In tal senso, il grandissimo ed elegantissimo lavoro di regia del francese sembra voler continuamente decostruire e ricostruire i canoni del genere, collocandosi di fatto al di fuori dello stesso.
UNA PARABOLA PROGRESSISTA E AGRODOLCE SULLA NASCITA DELLA SENSIBILITÀ MODERNA
I Fratelli Sisters non è un film di frontiera o una storia di crimine e avventura, ma piuttosto è il racconto della fine stessa del far-west per come lo conosciamo e dell’inizio di qualcosa di diverso. Sembra infatti che lo scopo principale del film di Audiard sia quello di inquadrare quel momento preciso in cui ha iniziato a nascere l’America moderna, in cui l’homo homini lupus delle terre di confine ha iniziato ad essere sostituito da idee embrionalmente ispirate a una maggiore civiltà e umanesimo.
Non sono i grandi cambiamenti storici o gli eventi dal grande impatto a interessare al regista e sceneggiatore, ma piuttosto il cambiamento che inizia lentamente a emergere nelle sensibilità dei singoli, che da rudi assassini senza scrupoli iniziano a chiedersi se un mondo diverso sia possibile (e non a caso uno dei personaggi si immagina in un falansterio a fondare una nuova idea di società utopistica). Da sbrigative macchine di violenza, orgoglio e determinazione, gli uomini iniziano a scoprire timidamente la propria sensibilità, a prendersi cura della propria persona, a esplorare sentimenti come la giustizia sociale o l’amicizia, e in tal senso anche il proprio lato femminile – ecco il senso nascosto del titolo.
I Fratelli Sisters è quindi un racconto progressista, ma non è lontanamente un racconto ciecamente ottimista. Il progresso (anche tecnico e scientifico) non è mai una strada semplice da intraprendere, e ogni passo in avanti è un passo verso l’ignoto, e in tal senso è estremamente pericoloso. Audiard, forte di un cast sensazionale sulla cui ovvia eccellenza non v’è neanche bisogno di spendere una parola, ritrae il cambiamento che viene dal basso e che conduce all’idea moderna di civilizzazione, in cui degli spari incredibilmente fragorosi e verosimili (che illuminano la notte come in Bone Tomahawk) sono la punteggiatura di un discorso umano che di quegli spari potrebbe e vorrebbe farne a meno.