C’è un motivo molto semplice per cui di solito non vengono realizzati buoni film basati su prodotti videoludici: non tutti i videogiochi hanno trame meravigliose e complesse, semplicemente perché non tutti i videogiochi hanno come obiettivo primario quello di raccontare una storia. Giochi leggendari sono diventati tali anche senza avere una vera e propria narrazione, puntando soprattutto sull’interazione con il giocatore. Questo elemento, per le caratteristiche del cinema (nonostante i passi avanti nell’ambito dell’interattività audiovisiva), non può essere riprodotto in una pellicola, privando così l’adattamento di quella forza che in taluni casi è radicata solo nell’azione diretta. L’unico modo possibile per aggirare questo “ostacolo” è quello di riproporre il concept in una nuova forma, anche a rischio di scontentare i fan più incalliti.
Nel novembre 2018 è stato rilasciato il trailer del primo film live-action sui Pokémon, mostri tascabili da combattimento diventati un vero e proprio fenomeno di massa degli anni ’90. Già dalle prime immagini la pellicola aveva suggerito diversi spunti di interesse: il design ma anche il taglio metanarrativo ed autoironico già facevano presagire un’opera promettente. Le nostre speranze erano ben riposte: Pokèmon – Detective Pikachu, in uscita nelle nostre sale il 9 maggio su distribuzione Warner Bros., è un blockbuster divertente e spensierato.
UN GIOVANE PROTAGONISTA CI INTRODUCE NELL’UNIVERSO DEI POKÉMON
In un mondo dove chiunque sogna di diventare un maestro di pokémon e girare il mondo con i propri compagni, il giovane Tim Goodman (Justice Smith) decide di isolarsi dai suoi cari e coetanei per rinchiudersi in una quotidianità monotona e senza sbocchi. Tuttavia l’improvvisa scomparsa del padre lo spinge a Rhyme City, città dove il genitore lavorava come detective e in cui Pokémon e uomini vivono in armonia senza catene né padroni. Mentre cerca di metabolizzare la perdita, il giovane si trova invischiato in un affare più grande di lui che coinvolge una ricerca scientifica illegale ed un Pikachu parlante che afferma di essere l’ex partner del padre. Insieme ad una giornalista alle prime armi (Kathryn Newton) ed al suo psyduck dalla forte emicrania, i due porteranno alla luce un complotto che vede protagonista il potentissimo Mewtwo, Pokémon creato in laboratorio con grandi poteri psichici.
DIFETTI E SCELTE BRILLANTI DI UN BLOCKBUSTER PER GRANDI E PICCINI
La trama di Pokémon – Detective Pikachu attinge a piene mani dalla serie animata e dal videogioco spin-off omonimo. La componente più efficace della pellicola è il suo approccio al mondo Pokémon: nessuna esposizione didascalica o tedioso worldbuilding, gli elementi necessari per introdurre l’universo narrativo anche allo spettatore più profano sono inseriti attraverso sequenze d’azione funzionali alla caratterizzazione dei protagonisti, che non sono delle caricature dei personaggi già esistenti nella serie ma nuovi individui creati appositamente per il film con una loro personalità.
Il giovane Tim, interpretato da Justice Smith, si trova a dover affrontare i tipici problemi di un ragazzo legati alla crescita, alla responsabilità di diventare grandi e alla miopia dell’età adulta nel spazzare via i sogni dell’infanzia. Il messaggio è rivolto ai fan di vecchia data del franchise, ormai adulti e con un lavoro, ma anche a chi si avvicina ai problemi e ai dubbi dell’adolescenza; tutto ciò crea un legame intergenerazionale all’interno del pubblico e regala una scintilla vitale inaspettata alla pellicola. Tuttavia l’obiettivo del film è in parte inficiato dall’altalenante interpretazione di Smith, quasi improponibile nei primi minuti.
Anche Kathryn Newton soffre dello stesso problema ma quest’ultima ha meno materiale su cui lavorare e il suo personaggio non ha una grande chimica con il protagonista; inoltre le sue prime scene hanno un impatto quasi nullo, facendo temere il peggio allo spettatore. Tutti gli altri attori in carne ed ossa fanno un buon lavoro ma hanno un ruolo molto marginale. Come c’era da aspettarselo, a rubare completamente la scena è proprio Pikachu. Il beniamino dei fan, che nella versione originale è doppiato da Ryan Reynolds, è un character estremamente divertente (qui viene rappresentato come dipendente dalla caffeina e si lascia sfuggire battute sorprendentemente adulte) che non solo innalza la qualità del film ma riesce anche ad aiutare i co-protagonisti.
Se inizialmente il ritmo elevato di Pokémon – Detective Pikachu ci permette di arrivare senza troppi fronzoli alle sue parti migliori e di ignorare battute e scene meno memorabili, è anche vero che la frenesia ci conduce ad un percorso narrativo leggermente confuso e troppo prevedibile. Nonostante ciò, lo humour sopra le righe di Pikachu e la presenza degli altri Pokémon ci regalano momenti di grande divertimento e sorprendentemente brillanti. La regia di Rob Letterman ed il suo team di FX artists e scenografi (fra cui molti freelance presi dal web) creano un mondo estremamente ricco di dettagli ed easter egg, in cui le centinaia di specie Pokémon presentate si integrano in maniera organica e perfettamente plausibile con il microcosmo che li circonda evitando il fanservice più becero. Sulla falsariga di un novello Chi Ha Incastrato Roger Rabbit, il film crea un universo vivo e variegato, ricco di personalità e grinta, in cui fantasiose creature immaginarie diventano quasi tangibili, purtroppo anche più dei personaggi umani del lungometraggio.
Pokémon – Detective Pikachu, che alla vigilia sembrava un’idea irrealizzabile figlia di un’insaziabile passione del pubblico per la cultura pop e per l’effetto nostalgia, è invece una pellicola che rende giustizia al brand, capace di attrarre i più piccoli e di conquistare gli appassionati storici che vengono magicamente riportati ai tempi in cui si passavano le giornate a fantasticare e a giocare con i Game Boy tascabili.