Se c’è un prototipo di cineasta outsider, completamente disinteressato ad assecondare la macchina commerciale e invece radicato in una visione cruda, nichilista e violenta della narrativa cinematografica, quel regista è Abel Ferrara. Senza mai fare alcuna concessione alle aspettative del mercato, allergico alla mondanità e a lungo vittima di dipendenze che non hanno fatto che amplificarne la reputazione di ‘personaggio scomodo’, Ferrara ha però saputo lasciare un segno condizionando molti suoi contemporanei nella settima arte e non solo, ispirando tanto il nichilismo pluriomicida dell’American Psycho letterario di Bret Easton Ellis o l’immaginario laido e perverso del primo David Fincher. Quello creato di pellicola in pellicola del regista newyorkese di origini italo-americane, infatti, è un discorso fatto di aggressività, corruzione, sesso e solitudine; ragion per cui il suo nuovo film Alive in France – in sala dal 19 al 22 maggio grazie a Mariposa Cinematografica – risulta come un raggio di luce che si fa largo con straordinaria forza in tanta oscurità e che ci regala un (auto)ritratto completamente inaspettato, umano e tridimensionale, rendendo giustizia al personaggio pur facendo piazza pulita di ogni stereotipo.
UN FLUSSO ERRATICO CHE TRA MUSICA E QUOTIDIANITÀ RESTITUISCE IL GENIO RIBELLE DI ABEL FERRARA
Alive in France, candidato al premio L’Œil d’Or come miglior documentario al Festival di Cannes, offre uno spaccato della quotidianità di Abel Ferrara seguendolo in una tournée francese che l’ha visto esibirsi insieme ai suoi collaboratori e amici di vecchia data Joe Delia e Paul Hipp, nonché della giovane moglie – e attrice – Cristina Chiriac. Oltre ad avere da sempre la forma mentis di una rock star, infatti, il cineasta è sempre stato di fatto anche un rocker, un appassionato di Rolling Stones, Bruce Springsteen e Doors che ha riversato sulla celluloide la propria passione per la musica, componendo personalmente le colonne sonore dei suoi film e dando al commento musicale una dignità ad alta definizione narrativa che pochi altri autori hanno saputo dargli.
In un flusso di coscienza che alterna spezzoni di concerti, frammenti di interviste, dietro le quinte e attimi di quotidianità, Alive in France riesce nella difficile missione di restituire la naturalezza del flusso creativo che per tutta la vita ha portato Abel Ferrara a dividere le proprie istanze espressive tra macchina da presa e chitarra, ripercorrendone erraticamente la carriera e suscitando nello spettatore più cinefilo un turbinio di suggestioni che tra The Driller Killer, Paura su Manhattan e Il Cattivo Tenente rievoca una galleria di uomini persi in un mondo ostile, arricchendola però di una dimensione intima, familiare e quasi tenera che è il vero valore aggiunto dell’opera. La colonna sonora diventa così all’improvviso la vera colonna portante della cinematografia del regista, e il linguaggio estremamente asciutto e per nulla ruffiano del documentario soddisfa inoltre la curiosità di sapere come sia la vita ‘ordinaria’ di un uomo tutt’altro che ordinario; la quotidianità di un maestro – fin troppo sottovalutato – del Cinema.
ALIVE IN FRANCE, UNA POTENTE DICHIARAZIONE D’AMORE DEL CINEMA ALLA MUSICA – E VICEVERSA
Alive in France non è il solito documentario strutturato e didascalico che trasforma il percorso di un grande artista in una noiosa sequenza di fatti e in cui tutto finisce per avere un posto ben incasellato: è invece una meraviglia caotica che somiglia al suo stesso autore e al suo nuovo percorso umano, in cui al posto di droghe e alcol ci sono un nuovo amore, una splendida bambina e – sempre lei – la musica. Un lavoro che non offre facili risposte e che sembra fregarsene di tutto e tutti; che è la quintessenza stessa di Abel Ferrara e per tale ragione rappresenta di gran lunga uno dei titoli migliori firmati dal regista negli ultimi anni.
Sia che siate da sempre degli estimatori del tormentato cinema di Ferrara sia che vogliate accostarvici per la prima volta con la più luminosa tra le sue pellicole, Alive in France è uno spaccato di cinema non conforme e ribelle, di quello che difficilmente si trova in sala e per la cui distribuzione non si può che essere grati a Mariposa. Il testo della canzone Bad Lieutenant, brano da cui è poi nato l’omonimo film (e non viceversa), a detta di Ferrara è la vera sceneggiatura di quello che Martin Scorsese ha definito come uno dei 10 film più importanti degli anni ’90, e – anche solo per quell’essenziale chorus che si insidia subdolo in testa e che non lascia lo spettatore per giorni – vale da solo il prezzo del biglietto. Non possiamo che suggerirvi di non perdervi questa disordinata e potente dichiarazione d’amore al ruolo della musica nel cinema, dal 19 al 22 maggio nelle nostre sale.