È in sala dal 22 maggio Aladdin, il secondo live action di casa Disney del 2019. Dopo il successo di Dumbo, diretto da Tim Burton e aspettando l’attesissimo Il Re Leone, la multinazionale del cinema per famiglie lancia Aladdin, nella personalissima visione di Guy Ritchie. Il regista britannico, famoso per l’umorismo di cui infarcisce ogni suo film, da Snatch a Sherlock Holmes passando per l’ultimo King Arthur, prova a trasformare in commedia una delle favole più antiche del mondo, ma non riesce del tutto, dimezzandone le potenzialità.
Aladdin è un live action caratterizzato da una regia frenetica e da coreografie che si avvicinano più allo stile di Bollywood, che alla quasi omonima città americana, dove le emozioni, al centro della filosofia Disney, sono messe da parte per favorire una messa in scena infantile. Protagonisti Will Smith, nei panni del Genio della lampada (ruolo che fu di Robin Williams), Mena Massoud e Naomi Scott come Aladdin e Jasmine e Marwan Kenzari nel ruolo del villain Jafar.
La storia riprende pedissequamente il soggetto del cartoon di Ron Clements e John Musker ma la sceneggiatura, scritta dallo stesso Ritchie con John August, apre ad alcune novità tra cui l’introduzione dell’ancella Dalia (Nasim Pedrad) e una diversa interpretazione della principessa Jasmine.
Aladdin, un ladruncolo di strada, incontra per caso la principessa Jasmine, unica figlia del sultano di Agrabah (Navid Nagahban), sfuggita alle guardie del palazzo per esplorare la vera vita di città. I due ragazzi iniziano a conoscersi e scoprono di avere molto in comune, nonostante le differenze sociali. Circondata da pretendenti, provenienti da ogni corte del mondo conosciuto, Jasmine è destinata a sposare un principe e le è impedita la frequentazione della gente del popolo. Mentre Aladdin, insieme all’inseparabile scimmietta Abu, riesce ad intrufolarsi nel palazzo e ricevere le attenzioni della principessa, il perfido stregone Jafar, consigliere del sultano, vede nel poverissimo ragazzo il “diamante grezzo” che potrebbe aprire le porte della Caverna delle Meraviglie, dove si trova una lanterna magica. Aladdin così fa la conoscenza del Genio, un mago rinchiuso nella lampada che è in grado di esaudire tre desideri della persona che la possiede.
Il giovane decide di esaudire subito il suo primo desiderio e trasformarsi nel principe Ali di Ababwua, per conquistare il cuore della sua amata, ma dovrà vedersela con i piani di Jafar e del suo fedele pappagallo Iago. Jasmine invece dovrà sfidare il suo destino ed affermarsi davanti al padre come donna, capace di guidare il sultanato anche senza un marito, prendendo semplicemente il posto dell’anziano genitore. Discorso a parte per il Genio, che con Aladdin instaurerà un vero rapporto di amicizia che porterà i due a vivere un’emozionante avventura.
Guy Ritchie affida tutta la riuscita del film alla performance di Will Smith, che balla, canta, rappa e si prende tutta la scena con le sue battute divertenti, cercando di trovare degli espedienti che evitino il ricordo della memorabile prestazione di Robin Williams (e senza poter giovare dello straordinario doppiaggio di Gigi Proietti, che tanto definì la versione italiana del cartoon). Aladdin però rimane un film ancorato ad un universo puerile, privo di emozioni forti e basato su una sceneggiatura che ricalca l’originale, ma senza la passione e la peculiarità del cartoon del 1992.
In particolare i costumi e l’ambientazione fanno pensare all’India più che al Medio Oriente, caratteristica della storia, che è il riadattamento della fiaba Aladino e la Lampada Meravigliosa tratto da Le Mille e una Notte. Altro elemento che accosta l’Aladdin di Guy Ritchie ad un musical in salsa indiana è la presenza preponderante di coreografie elaborate (e in alcuni momenti persino tendenti al kitsch) che accompagnano le bellissime canzoni originali scritte da Alan Menken, Howard Ashman e Tim Rice, entrate nella storia dei classici Disney.
I protagonisti Mena Massoud e Naomi Scott riescono ad essere convincenti, seppur siano evidenti le difficoltà di una simile trasposizione cinematografica. La Scott è capace di dare una buona lettura del personaggio di Jasmine, una ragazza ambiziosa e tenace, mentre Massoud, l’attore canadese che dà il volto ad Aladdin è a suo agio nel ruolo, seppur a volte sia forzato ad essere ironico a tutti i costi. I due interpreti sembrano legati alle difficoltà di una sceneggiatura, che vorrebbe intrinsecamente discostarsi dall’originale, ma che non trova appiglio negli espedienti stilistici che gli autori hanno scelto di assecondare. Gli artisti cantano, ballano e si muovono egregiamente, come fossero sul palco di Broadway, ma non sono adeguatamente valorizzati dal contesto scenografico e autoriale in cui sono inseriti.
Jafar, una volta cattivissimo, nelle mani di Guy Ritchie abbassa notevolmente il suo livello di malvagità e magia nera e seppur Marwan Kenzari provi a dimostrare tutto l’odio, il risentimento e l’invidia che il suo personaggio si porta dentro, non riesce a funzionare, dimostrandosi una delle peggiori riscritture di un villan.
Il live action di Aladdin non si può certamente definire tra i più riusciti degli ultimi tempi, ma sicuramente è un valido prodotto commerciale per bambini e famiglie, che punta tutto sulla presenza di Will Smith, capace sempre di divertire con garbo e ironia.
La fotografia fluorescente, le parate con gli elefanti e i costumi sgargianti passeranno del tutto in secondo piano davanti agli occhi di chi cerca in un film firmato Disney soltanto il sano e rispettoso divertimento. Tutto ciò è comprensibile da un punto di vista commerciale, come la scelta di far doppiare le canzoni in italiano da Naomi Rivieccio, cantante che viene dalla lirica, arrivata seconda all’ultima edizione di X Factor. Dal punto di vista prettamente artistico, queste scelte fanno scendere di livello un cartoon che ha fatto la storia del rinnovamento di casa Disney, capace di emozionare adulti e bambini come pochi hanno saputo fare.