Era la seconda metà degli anni ‘2000 quando, a distanza di pochi anni, Romanzo Criminale e Gomorra risvegliavano a modo loro la voglia di crime nel pubblico italiano. Da allora la narrazione delle tentacolari periferie italiane e della criminalità diffusa e organizzata si è via via cristallizzata in un nuovo paradigma cinematografico, che ha in qualche modo reso pericolosamente carismatico il mondo della malavita (in particolare partenopea) e ha generato un fenomeno di genere appiattendo inevitabilmente una realtà straordinariamente complessa su uno stereotipo amaro e troppo spesso seducente.
Eppure in Selfie, nuovo film di Agostino Ferrente presentato alla Berlinale, premiato con il David di Donatello, e ambientato proprio in quella Napoli disagiata con la quale abbiamo ormai familiarità, di quello sguardo quasi indulgente verso il male non c’è neanche l’ombra. Facendo piazza pulita di ogni stereotipo e di ogni ammiccamento, il regista riporta i riferimenti etici al loro giusto posto e racconta con sorprendente tenerezza e luminosità i terribili ‘danni collaterali’ che quel mondo criminale fa al tessuto sociale, nonché la resistente speranza che come la ginestra di leopardiana memoria si ostina a fiorire nel più brullo dei contesti.
SELFIE: LE STORIE DEI TANTI DAVIDE BIFOLCO
Uno dei più grandi torti che si fanno ai quartieri napoletani funestati dalla Camorra è raccontare che tutti i cittadini siano legati alla criminalità e che all’assenza dello stato corrisponda anche l’assenza di una bussola morale. Davide Bifolco, morto a 16 anni quando nel 2014 un carabiniere gli sparò per sbaglio alle spalle scambiandolo per un latitante, era un ragazzo per bene; una vittima innocente tanto del contesto ostile quanto – e soprattutto – di chi l’avrebbe dovuto proteggere.
Agostino Ferrente decide di partire da quella vicenda, che cita a più riprese, per raccontare il Rione Traiano attraverso storie di ragazzi sani, sedicenni di oggi che nonostante tutto si ostinano a cercare un lavoro onesto e a tenersi lontani da quel mondo. Lo spettro della malavita aleggia sempre sullo sfondo, certo, e vedere dei teenager che come fosse normale si aggirano per la città sparando selvaggiamente al cielo da proprio scooter gela il sangue nelle vene. Alessandro Antonelli e Pietro Orlando però, due amici per la pelle che oggi hanno la stessa età di Davide alla sua morte, si aggrappano l’uno all’altro come a coltivare pervicacemente la bellezza del loro rapporto umano; come fosse un atto di ribellione.
Sono loro due i protagonisti di Selfie, e in una certa misura ne sono anche gli sceneggiatori e i ‘registi’. Uno barista e uno aspirante parrucchiere, questi teneri e acerbi adolescenti si impossessano dell’iPhone fornito da Ferrente e si riprendono costantemente e liberamente in momenti di quotidianità. Come suggerisce il titolo, infatti, Selfie è un film i cui soggetti si inquadrano e raccontano da soli, e nel quale la mano quasi invisibile di Ferrente emerge soprattutto nel momento di fare un mirabile lavoro di selezione e montaggio; nel momento di far affiorare una storia da quel flusso di normalità.
UNA SFIDA CREATIVA PER UN DOCUMENTARIO INNOVATIVO
Se la pratica del ‘selfie’ – sintomo di quel patologico bisogno di olografizzazione della realtà che il situazionista Debord già prevedeva e denunciava ne La Società dello Spettacolo – è normalmente sinonimo di una ‘bellezza’ artefatta e volgare, le immagini del Selfie di Agostino Ferrente risultano al contrario di una commovente bellezza, intrise come sono del nitore che brilla negli occhi di due ragazzi che si affacciano alla vita e pur non vedendo un futuro fanno di tutto per immaginarsene uno. Se la qualità amatoriale del girato o la totale assenza di una consapevolezza estetica penalizzano inevitabilmente i fotogrammi di questo documentario sui generis, è in realtà la drammatica e fulgente poesia di quelle opportunità chiuse in gabbia a ingentilire miracolosamente il risultato finale.
La ‘bromance’ di Alessandro e Pietro, che viene intervallata dai provini (anch’essi auto-ripresi) di altri ragazzi e da qualche establishing shot affidata a camere di sorveglianza, è sapientemente montata a costruire un mosaico che, complice l’innata ironia dei due, risulta spesso divertente e deliziosamente naïf. Ferrente si spinge a un utilizzo del girato non comune per un documentario, rallentando, effettando, mandando al reverse o desaturando i filmati, e la componente video è completata in modo sorprendentemente efficace dal quadrante audio. Mentre le note dei neomelodici o del XIII preludio di Nino Rota si succedono a commentare e colorire quanto ripreso dai ragazzi, un abilissimo uso del montaggio audio conferisce infatti un piglio cinematografico finanche a ‘banali’ provini girati contro una parete grigia.
AGOSTINO FERRENTE FIRMA UN FILM VERO E COMMOVENTE
Come accadeva nello straordinario e pur diversissimo Il Cratere di Silvia Luzi e Luca Bellino, Agostino Ferrente in Selfie ha il pregio di scrollarsi di dosso l’ingombrante peso del già visto e di restituire all’ambito partenopeo una dimensione complessa e non banale, che tornerà ad arricchire lo spettatore ogni volta che si imbatterà di nuovo nei ritratti spesso ritriti della criminalità giovanile campana.
La scelta stilistica del progetto, che lo definisce già dal titolo, ne è innegabilmente uno dei punti di forza, e nonostante non manchino alcuni precedenti concettualmente simili, si staglia per novità e potenza. Se infatti il regista e produttore kazako Timur Bekmambetov è noto per la sua convinzione che l’innovazione del linguaggio filmico passi dallo screen film, dall’autoripresa e dalle CCTV (e in tal senso noi italiani abbiamo già dato un importante contributo con le GoPro di Ride di Rondinelli), Ferrente fa fare un grandissimo salto di qualità al medium, usandolo per risuonare con le tematiche del racconto e affidandolo a chi è oggetto del racconto stesso.
Il risultato è vero, potente, commovente. Un film che non somiglia a nessun altro e che non solo ricorda la terribile vicenda di Davide Bifolco, ma tocca il cuore dello spettatore e gli dà dei punti di riferimento indispensabili per comprendere quella realtà al di sotto della superficie, per interpretare la complessità. E un film documentario non potrebbe ambire a nulla di meglio.
Selfie è arrivato al cinema il 30 maggio 2019 su distribuzione Istituto Luce Cinecittà.