Nostalgici della Croisette? Festival Scope viene in soccorso di tutti i cinefili del mondo portando comodamente nelle vostre case alcuni cortometraggi della Semaine de la Critique dall’ultimo Festival di Cannes. Ancora per pochi giorni quindi sarà possibile godersi una variegata selezione di lavori.
The last trip to the seaside (Ultimul Drum Spre Mare)
un cortometraggio di Adi Voicu – Nella carrozza di un treno diretto verso una località di mare, un libro sembra essere abbandonato sulla mensola dello scompartimento. “Metromarxism” si legge sulla costola. Fuori dal finestrino, numerosi piccoli falò punteggiano il paesaggio arso dal sole estivo. Fuori campo, due signore parlano di malattie e medicine. Pochi secondi dopo una mano fa per prendere il libro e due passeggeri entrano nella scena mentre il lungo bollettino medico giunge al termine. Per qualche minuto, prendiamo parte alla conversazione di due giovani che discutono di marxismo, proprietà intellettuale e in ultima battuta anche della loro relazione. A interrompere la disquisizione è un uomo che si alza per cercare di aprire il finestrino. È un attimo, eppure ci balenano nella memorie centinaia di viaggi che Trenitalia ha reso bollenti per mancanza di aria condizionata o per aver bloccato i finestrini. A quanto pare, in Romania non se la passano molto meglio. L’insolenza dell’uomo, uno straniero, che ha cercato di ventilare lo scompartimento senza prima chiedere il permesso ai compagni di viaggio è la scintilla per una piccola discussione neanche troppo velatamente razzista da parte di una delle signore. Sono solo 12 minuti complessivi, anche meno se togliamo i seppur brevi titoli di coda, ma con il suo The last trip to the seaside, Voicu ci regala un fluidissimo e attento spaccato di vita al tempo del razzismo che serpeggia in quest’Europa sempre più sofferente. Tra le lamentele delle vecchiette per i propri acciacchi, la loro insofferenza verso i giovani e gli stranieri ma anche la viscerale diffidenza che non riesce ad abbandonare neanche quei pochi illuminati che parlano di filosofia con la disinvoltura del colto, Voicu ci sbatte in faccia la spietata realtà.
The Trap (Fakh)
un cortometraggio di Nada Riyadh – Per le strade desolate di una città di mare, una coppia va a fare la spesa per poi tornare alla loro casa che si affaccia sulla spiaggia. A leggere questa descrizione non sarebbe difficile pensare a un qualsiasi idillio vacanziero ma il secondo corto della regista egiziana Riyadh è molto lontano da questo scenario. Dall’inizio alla fine, The Trap è attraversato da un incombente senso di pericolo, da un disagio che prende alla gola e fa mancare il fiato. Se tutto attorno ai due giovani ci sono solo macerie e il loro appartamento non è altro che un mucchio di polvere, scarafaggi, topi e desolazione, per Aya la vita con Ismal è ancora più opprimente. Per strada si muove a testa bassa, quasi vergognandosi di ogni passo, di ogni respiro, camminando sempre qualche centimetro più indietro rispetto all’uomo. Attenta a non catturare troppi sguardi e a fuggire le avances indesiderate di altri, Aya è vittima anche all’interno della sua stessa relazione. Lei vorrebbe lasciarlo ma lui non riesce a non imporsi sessualmente su di lei a ogni istante sussurrandole “ti amo” come fosse una scusa. Nonostante sia chiaro l’atto di denuncia di Riyadh e la sua voglia di smascherare i continui e sfiancanti rapporti di potere che si instaurano tra molte coppie nei paesi arabi, il corto manca però di un’ossatura che lo renda qualcosa di più di un semplice spaccato di violenza. Crudo ma purtroppo senz’anima, un po’ come la sua protagonista.
Demonic
un cortometraggio di Pia Borg – A cavallo tra un documentario e una pellicola d’inchiesta con interni e personaggi perfettamente ricostruiti, Pia Borg si cala completamente nell’isteria generale che colpì gli Stati Uniti a partire dagli anni ‘70 per poi crescere incontrollata nella decade seguente. Quel periodo, noto come “Satanic Panic” vide moltissime famiglie terrorizzate che culti segretissimi si stessero organizzando per celebrare messe sataniche in cui svariati bambini venivano molestati se non addirittura sacrificati a Satana. Per quanto questo oggi possa far alzare un sopracciglio – o anche due – non bisogna sottovalutare l’impatto mediatico e sociale che il fenomeno ebbe nell’America di quegli anni. Procedendo con calma oggettiva, Borg ci presenta un racconto scandito da registrazioni di sedute psichiatriche ma anche da video d’archivio riguardanti un processo di abuso su minori che ebbe luogo in una scuola materna. Quando il caso scoppiò, sembrava che decine di bambini fossero stati abusati da parte sia degli educatori che della proprietaria della scuola ma, a mano a mano che il processo si trascinava, ci si cominciò a chiedere quanto di tutte le dichiarazioni estratte dalle vittime corrispondesse a realtà e quanto invece fosse semplicemente quello che il pubblico voleva sentirsi dire per condannare definitivamente il capro espiatorio di turno. Limitandosi a raccontare, Borg non giudica mai ma ci invita a riflettere sul potere dei media, della suggestione e sui complessi meandri del nostro subconscio.
Party Day (Dia de festa)
un cortometraggio di Sofia Bost – È il compleanno di Clara e Mena, nonostante la situazione finanziaria famigliare piuttosto precaria, riesce a organizzare una piccola festa per la figlia. Come ogni festa di compleanno che si rispetti vediamo una coroncina da principessa per la bambina, qualche festone e alcuni ingredienti per cercare di preparare una torta. Stereotipi di genere a parte – sembra ancora lontano un mondo in cui le bambine non debbano essere principesse e maschi e femmine non debbano dividersi per forza in schieramenti per giocare – Party Day è un cortometraggio cupo e ricco di tensioni irrisolte nei rapporti tra madri e figlie. Nonostante un’ottima performance dell’attrice protagonista Rita Martins, il corto di Bost regala pochissime emozioni e lascia troppe domande senza risposta. Quali sono i problemi che hanno portato alla fine della relazione di Mena col compagno e padre di Clara? Come mai così tanta asprezza nell’incontro con la madre? Perché una figlia rifiuta con tanta forza di vedere il padre sul letto di morte? Se è vero che spesso accennare a un problema lascia poi correre l’immaginazione, una tale avarizia nell’offrire un contesto più ricco rischia davvero di rovinare la festa. Al suo primo lavoro da regista, Bost sembra avere molte cose da dire e i mezzi per farlo (shout-out per la scelta di una pellicola da 16mm!) ma preferisce lasciarci insoddisfatti e un po’ confusi. Non resta quindi che aspettare prossimi sviluppi.