Quando il dramma psicologico e il soprannaturale incontrano l’horror è sempre difficile trovare un equilibrio per mantenere, nell’arco di dieci puntate, coerenza e credibilità: Chambers, nuova serie targata Netflix, pur con una prima stagione tutt’altro che perfetta riesce a ritagliarsi un proprio spazio nel panorama televisivo, attingendo a piene mani dal cinema di genere.
IL LEGAME INSOLITO TRA UNA RAGAZZA DEFUNTA E UNA GIOVANE NAVAJO
La storia parte dal trapianto di cuore di una diciassettenne nativa americana di origini navajo, Sasha Yazzie (Sivan Alyra Rose): la ragazza, dopo la morte della sua giovane madre, vive con lo zio Frank (Marcus LaVoi), un uomo buono senza un lavoro stabile che la accudisce e la protegge, nonostante sia talvolta costretto a vivere di espedienti per mantenere la nipote. Dopo l’intervento Sasha e Frank vengono contattati da Nancy (Uma Thurman) e Ben Lefevre (Tony Goldwyn), genitori della ragazza deceduta per incidente domestico che ha donato il nuovo cuore di Sasha. Si incontrano e durante la cena fanno conoscenza anche con Elliott (Nicholas Galitzine), l’altro figlio della coppia ancora sconvolta dal grave lutto. Contrariamente a zio e nipote, la famiglia Lefevre è ricchissima e dopo il primo approccio Sasha diventa un punto di riferimento a cui si aggrappano nel perenne ricordo della figlia defunta Becky (Lilliya Scarlett Reid). Nancy e Ben offrono alla ragazza l’opportunità di frequentare a proprie spese una prestigiosa università, le regalano un’auto e la riempiono di attenzioni. Parallelamente all’evoluzione di questo rapporto, Sasha stringe amicizia anche con Elliott e continua a frequentare il fidanzato TJ (Griffin Powell-Arcand). Ma il legame insolito tra Becky e Sasha, che condividono lo stesso cuore, è più forte di quanto sembri, creando un’altalena di complicità, inquietudine e violenza.
UNA PRIMA STAGIONE INTRIGANTE MA TUTT’ALTRO CHE PERFETTA
Chambers è una serie che utilizza diversi registri dell’horror per raccontare temi universali, proprio come il cinema di genere più recente (un esempio è la produzione filmica di Jordan Peele, prima con Get Out e poi con Noi). Nello show Netflix viene mostrata la contrapposizione tra ricchi e poveri, che culmina con il confronto tra la cultura dei bianchi, potenti e istruiti, e le tradizioni delle minoranze in cerca di riscatto come quella navajo in cui la magia ha un ruolo importante; anche la dicotomia tra ragione e irrazionale (che cerca di risalire alle radici dell’anima fino al misticismo, al soprannaturale e al paranormale) è un elemento centrale dello show creato da Leah Rachel.
La prova di Uma Thurman merita una menzione a parte: l’attrice statunitense, che interpreta Nancy Lefevre, giganteggia bucando lo schermo con la sua presenza carismatica. Le sfumature che la diva di Pulp Fiction e Kill Bill dona al suo personaggio inducono lo spettatore di volta in volta a cambiare opinione sul suo conto; la Thurman non dà mai punti di riferimento, diventando il baricentro di un racconto che rimane incerto fino al termine. Dopo averla vista recentemente ne La Casa Di Jack di Lars Von Trier, in Chambers l’attrice statunitense dimostra ancora una volta, semmai ce ne fosse stato bisogno, la sua bravura ma allo stesso modo anche il resto del cast, sorretto da una buona sceneggiatura, è all’altezza del compito sebbene gli interpreti non siano molto conosciuti al grande pubblico.
Di carne al fuoco ce n’è davvero tanta e, in qualche modo, tutte le storylines hanno un proprio spazio e una loro dignità. Certo, nella serie è difficile trovare un approfondimento delle tematiche e della psicologia dei protagonisti ma questo limite evidente non impedisce al prodotto Netflix di essere divertente. Chambers dà il meglio di sé nelle prime sette puntate, poi subisce un calo fino ad arrivare ad una sterzata che fa ricorso ad atmosfere dal sapore vagamente lynchiano: il finale riserva una svolta sorprendente che, se ben sfruttata, potrebbe offrire nuovi spunti per un’ipotetica seconda stagione.