Dopo essere passato a Toronto e a Locarno, Christo – Walking on water arriva in un festival italiano, precisamente al biografilm festival di Bologna. Il documentario, diretto da Andrey Paounov, racconta della genesi di Floating Piers, la gigantesca installazione artistica del 2016 che per settimane ha permesso a decine di migliaia di persone di “camminare” sul lago d’Iseo. Una pellicola che sarebbe eccessivo definire noiosa o poco interessante, eppure, dato il materiale a disposizione, si sarebbe potuto fare molto di più.
CHRISTO E L’INVENZIONE DELLA LAND ART
Christo è il nome con cui sono conosciuti Christo Yavachev e Jeanne Claude Denat de Guillebon, due artisti immigrati a Parigi (lui dalla Bulgaria e lei da Tunisi) che hanno reso celebre la Land Art, una corrente artistica nata nella seconda metà del ‘900. Questo movimento ha visto diversi artisti esprimersi con un intervento diretto sul territorio, mirato a mutare il paesaggio naturale. Un esempio contemporaneo (anche se sono state pensate come semplici “quartieri del divertimento”) sono le Palm Islands di Dubai, le due isole artificiali che sono state costruite nel golfo Persico.
Nonostante gli esempi di Land Art siano moltissimi, le opere che hanno avuto più successo e hanno resistito all’avanzare del tempo sono sicuramente quelle dei Christo. Basti pensare alla Porta Pinciana “imballata” a Roma negli anni ’70 o al Reichstag impacchettato nel 1995; interventi monumentali, costosi, temporanei e apparentemente senza senso.
Se vi siete mai chiesti perché la coppia si divertisse a “imballare” i monumenti, sappiate che la risposta non vi soddisferà. Nelle prime scene di Christo – Walking on Water, infatti, il protagonista del documentario (Christo Yavachev continua a lavorare da solo dalla morte di Jeanne Claude nel 2009) afferma: “Le nostre opere non servono a niente. Sono inutili. Esistono solo perché a me e Jeanne Claude piace vederle.”
CHRISTO – WALKING ON WATER È UN DOCUMENTARIO INCOMPLETO E NARRATIVAMENTE POCO CURATO
Effettivamente l’inizio del film è davvero splendido. Vediamo Christo lavorare in solitaria in un garage, mentre sta progettando con Floating Piers con carta, penna, righello e colla vinilica. Successivamente il protagonista (ultra-ottantenne) litiga con dei suoi collaboratori per la copertina di un catalogo e con un suo assistente per problemi del computer. Christo non sa e non vuole usare nulla di tecnologico. È un uomo che progetta con matita e gomma installazioni gigantesche. Tutto nasce dalla sua mente, da una incredibile ambizione e da una inestinguibile voglia di non ripetersi, di cercare nuove sfide. Nella vita questo artista ha fatto letteralmente tutto: all’appello mancavano soltanto i “moli galleggianti”
Nel incipit Walking on Water promette veramente bene. Racconta lati di Christo che non conoscevamo, come la sua repulsione verso il digitale, la sua passione per un tipo di camicia (con polsini e colletto di colore diversi dal resto) e soprattutto la sua ritrosia verso lo stare seduto. Durante gli incontri, le riunioni e le conferenze, nonostante i suoi 84 anni, l’artista sta sempre in piedi e non vuole nemmeno che gli venga portata una sedia.
Insomma, finché si tratta di “convenevoli”, il documentario funziona piuttosto bene. I guai cominciano quando Paounov (il regista) si trova davanti al processo più importante di ogni documentario: la scelta il materiale. Le ore di girato (alcune fatte dal regista altre no) sono centinaia e temporalmente vanno da circa 4 mesi prima dell’inaugurazione di Floating Piers fino a sette mesi dopo la rimozione dell’installazione.
Il documentario non procede in modo logico o apparentemente organizzato, al contrario. Ci viene mostrata una sequenza girata 4 mesi prima dell’inaugurazione e con uno stacco di montaggio facciamo un salto temporale a un 1 mese dall’inaugurazione. Il corpo centrale del documentario, poi, si concentra sui primi due giorni di Floating Piers, passati da Christo e dal suo team a litigare con i responsabili italiani: dall’ingegnere che si occupava della sicurezza fino al sindaco della città. L’Italia ne esce male, malissimo. Ma questo ci interessa fino a un certo punto.
Ciò che verosimilmente interessa a chi vede Christo – Walking on Water è piuttosto sapere qualcosa di più sull’organizzazione, il finanziamento e la costruzione di un progetto così imponente. Con quale metodo sono stati costruiti i “piers”? Quanto ci è voluto per trasportarli? Come è stata scelta la stoffa?
Il documentario non risponde a nessuna domanda di carattere tecnico o organizzativo. Eppure stiamo parlando di una installazione monumentale, alla quale centinaia di persone hanno lavorato per mesi. Un progetto da decine di milioni di dollari, con una risonanza internazionale pazzesca. Il regista, purtroppo, preferisce farci vedere (per 10 minuti) Christo che si annoia ai vari party sul lago di Iseo, mentre decine di persone lo abbracciano, gli fanno i complimenti e si fanno le foto con lui.
Christo – Walking on Water risulta comunque interessante, poiché racconta di un genio assoluto dell’arte novecentesca che è indubbiamente un uomo affascinante. Purtroppo il risultato finale somiglia più ad una collezione di sequenze che a un’opera fluida e con uno scopo narrativo, come se alla fine l’importante fosse parlare di un po’ di tutto. Con un regista diverso (o forse con lo stesso regista ma con più tempo a disposizione) sarebbe uscita un’opera indimenticabile. Peccato.