Quando si riflette su quale siano state le pellicole più importanti della storia del cinema, è facile perdersi fra i vari Il Padrino e Quarto Potere; e muovendosi fra registi come Coppola o Welles, Hitchcock o Kubrick, non è strano prendere sotto gamba nomi come quello di John Lasseter. La verità però è che la sua creazione, Toy Story, pur non avendo lo spessore dei grandi capolavori del cinema d’autore, è ad oggi una delle colonne portanti del cinema moderno, punto di riferimento tecnico e artistico per l’evoluzione del cinema d’animazione. Primo lungometraggio animato in CGI, nonché prima opera cinematografica della Pixar, ad oggi ancora punta di diamante dell’impero Disney. Il film non rappresenta semplicemente una pietra miliare della cultura pop, ma un vero e proprio punto di svolta dell’arte e della tecnica cinematografica, nonché conquista visiva della narrativa animata e non solo.
Sul valore storico e tecnico di Toy Story si potrebbero scrivere (e sono stati scritti) decine di libri – non è un caso che la National Film Registry ne abbia scelto la conservazione nella biblioteca del congresso USA – ma quello che sorprende davvero, oltre alla qualità e la poetica della pellicola stessa, è la loro costanza nei vari sequel realizzati negli anni. Ogni capitolo è stato considerato da una buona fetta di critica come migliore o almeno allo stesso livello del precedente, e per un film così influente, questo non è poco. Uno spunto apparentemente semplice come quello di giocattoli che prendono vita ha permesso di volta in volta riflessioni tutt’altro che superficiali sulla soggettività, la vita e la crescita, il tutto senza mai dimenticarsi di regalare storie divertenti per tutta la famiglia, capaci però anche di commuovere – spesso per motivi diversi – spettatori di tutte le età.
A 24 ANNI DAL PRIMO FILM, IL FRANCHISE È ANCORA FRESCO E SIGNIFICATIVO
Nonostante tutto però, è anche vero che Toy Story non è solo una saga cinematografica di altissimo livello, ma anche un brand famosissimo, i cui gadget fruttano alla Disney miliardi ogni anno. L’annuncio di un nuovo capitolo, dopo un terzo che sembrava chiudere alla perfezione il ciclo narrativo, aveva fatto temere a tutti una quarta iterazione “arraffasoldi” e senz’anima, utile solo a vendere biglietti e giocattoli a bambini e nostalgici di tutte le età. Questa paura era certamente rafforzata dall’addio dello stesso Lasseter, dimessosi dalla Pixar dopo accuse di molestie susseguitesi dopo il caso Weinstein. Alla Pixar però non si nega una chance, e ora che la data di uscita di Toy Story 4 si avvicina, non possiamo che rassicuravi.
Ormai affezionati alla loro nuova bambina Bonnie, i nostri amati giocattoli vivono una vita felice e appagante, ma non priva di dubbi e rimpianti. Woody, in particolare, non smette di pensare ad Andy ed alla pastorella Bo Peep, la cui “scomparsa” nel terzo capitolo viene spiegata nei primi commoventi minuti del film. Alimentato dalla poca attenzione dedicatagli dalla bambina, il senso di smarrimento e di incompletezza del cowboy si riversa nella sua vena iperprotettiva nei confronti di quest’ultima e della sua ultima creazione, Forky, un giocattolo creato con oggetti di tutti i giorni e che non riesce a capire cosa voglia dire essere un giocattolo. Durante un lungo viaggio in macchina, Forky si perderà inseguito da Woody (a sua volta inseguito da Buzz) e, sulla strada di casa, i nostri protagonisti si troveranno ad affrontare nuove e vecchie conoscenze, fra cui l’inquietante Gabby Gabby e l’amata Bo Peep. Grazie a questa nuova, bizzarra avventura, Woody vedrà un lato della propria emotività represso per troppo tempo, prendendo piena consapevolezza di sé ed affrontando un dilemma morale che non si era mai posto.
TOY STORY 4 E LA CRISI DI WOODY
È difficile parlare di Toy Story 4 senza citare continuamente i suoi predecessori, perché, di fatto, questo film avrebbe potuto rischiare di non aggiungere molto al già detto, e perché nei suoi primi seppur meravigliosi minuti sembra voler sfruttare con troppa consapevolezza il retaggio delle storie precedenti. Il punto è che Toy Story 4 riesce sorprendentemente ad arricchire anche i personaggi più noti, e nel farlo ricorre a un tono più leggero e scanzonato rispetto al capitolo precedente.
Il nostro eroe Woody attraversa una crisi etica che mette a confronto la propria felicità contro quella altrui, e tale elemento viene trattato con il binomio di semplicità e genialità che negli anni ha sempre contraddistinto la Pixar. Woody però non è l’unico protagonista (sebbene mai così centrale), ed insieme a lui si muove un pantheon di personaggi dalla grande chimica, freschi ed audaci, che sebbene il poco tempo concesso loro, riescono tutti a dare un valore aggiunto alla storia. Che sia per semplice comic relief o per allegorie a diversi ostacoli offerti dalla vita, ogni comprimario arricchisce questo mondo vibrante di vita, umanità e luce.
LA PIXAR NON SI SMENTISCE: UNA REALIZZAZIONE TECNICA STRAORDINARIA
Toy Story 4 colpisce per la sua luce non solo sul piano simbolico, ma anche sul piano strettamente tecnico. La luce ambientale, mai così brillante e ben implementata, è infatti quasi co-protagonista della storia, da una parte testimoniando l’evoluzione tecnologica e l’avanguardia che il team Pixar ha sempre rappresentato per l’industria, e dall’altra diventando un fattore caratterizzante e caratterizzato di ogni situazione o personaggio. Grazie alla fotografia magistrale di Patrick Lin e Jean-Claude Kalache, ogni meandro di questo mondo pulsa di vita propria; ogni muro, vetro o superficie sembra di volta in volta avere una propria anima che rispecchia la scena, coerentemente con la mission di un intero franchise che si regge sulla vivificazione dell’inanimato. L’interazione con i giocattoli protagonisti poi, che vede i raggi luminosi reagire diversamente a seconda di superfici, materiali e texture dei personaggi, li distingue e contribuisce a dar loro linfa vitale ancor prima di ogni loro azione, rendendo magici anche i momenti di silenzio e contemplazione che l’altrimenti ininterrotto dinamismo del film si concede. Tutto questo infonde al film un pathos straordinario nei numerosissimi momenti comici ( Toy Story 4 è il capitolo più divertente della saga), nelle scene d’azione e soprattutto negli immancabili momenti drammatici. Il tutto sotto l’occhio attento di Josh Cooley (nuovo alla regia di lungometraggi ma veterano dello studio sin da Gli Incredibili), che ci regala uno scorrimento narrativo ricco di dettagli, caramelle per gli occhi e privo del minimo tempo morto.
IL DOPPIAGGIO, DA CORRADO GUZZANTI ALL’EREDE DI FABRIZIO FRIZZI
Se da un lato è difficile mettere a confronto questo film contro i giganti che l’hanno preceduto, è anche vero che quest’ultimo sa puntare perfettamente sulla propria originalità invece che appoggiarsi troppo alle sue fondamenta, regalandoci un villain finalmente nuovo, delle tematiche ancora inesplorate, ed il film più unico della serie, in grado di ampliare o addirittura migliorare una storia che sembrava conclusa e perfetta così com’era, rendendolo un vero, inaspettato miracolo da parte della casa d’animazione statunitense. Certo, alcuni personaggi minori, pur caratterizzati benissimo, risentono di uno screentime troppo limitato e lo loro emozioni vengono a volte lasciate sottintese, ma tutto questo non inficia in alcun modo la conquista che il film rappresenta sotto tutti i punti di vista.
Nella versione italiana, sono state fatte delle ottime scelte per l’interpretazione dei personaggi: Luca Laurenti, malgrado poche scivolature, si rivela straordinariamente efficace e divertente nei panni di Forky, l’immenso Corrado Guzzanti, nei panni del motociclista giocattolo Duke Caboom (interpretato in originale da Keanu Revees), ruba letteralmente la scena ogni volta che è presente. Massimo Dapporto, ancora una volta voce di Buzz, lascia trasparire una maggiore fatica nella ripresa del personaggio ma fa comunque un ottimo lavoro e, dulcis in fundo, c’è Angelo Maggi, nuovo doppiatore di Woody e voce italiana di Tom Hanks (che lo doppia in originale). È innegabile, a Maggi è toccato il compito più arduo di tutti, quello di sostituire il compianto Fabrizio Frizzi, la cui naturalezza e dizione imperfetta riuscivano a dare un’umanità unica al personaggio; non è facile riprodurre elementi così eterei e poco tecnici, ma nonostante tutto, la sua bravura ed infinita professionalità ci portano ad abituarci già nei primi minuti del film, portandoci ad una totale familiarità con la sua voce dopo appena venti minuti di proiezione, ri-confermandolo come un grande maestro dell’arte del doppiaggio.
Toy Story 4 è un evento più unico che raro nel mondo del cinema: quasi alla pari di un Mad Max: Fury Road, si rivela un’inaspettatamente ottima nuova entry in una saga che, grazie alla sua meta-narrativa sull’effetto del tempo e sul valore del sé e delle proprie emozioni proiettato sugli oggetti a cui sono legati i nostri ricordi, riesce a trovare un nuovo sbocco narrativo di cui non credevamo di avere bisogno. In parole povere, un must per tutta la famiglia, ed uno dei migliori film d’animazione (e non solo) dell’anno.