Xavier Dolan, dopo la fredda accoglienza della critica al Toronto International Film Festival del 2018, riesce a portare in Italia il suo ultimo lavoro La mia vita con John F. Donovan, al cinema dal 27 giugno, distribuito da Lucky Red. Le difficoltà legate al primo film americano di Xavier Dolan sono ben note ai cinefili, forse meno a chi poco conosce i lavori del giovane regista canadese, vincitore a Cannes sia del Gran Premio della Giuria, nel 2014 con Mommy, che del Gran Prix, nel 2016 con È Solo la Fine del Mondo (qui la recensione).
L’ITER LUNGO E TORMENTATO DIETRO LA MIA VITA CON JOHN F. DONOVAN
Alla fine del primo montaggio la durata de La mia vita con John F. Donovan era di circa quattro ore, con la presenza nel cast di Jessica Chastain, protagonista delle prime immagini del film diffuse sui media. Poco convinto del risultato finale, decide di rimontare tutte le sequenze eliminando la Chastain, con grande stupore di pubblico e critica. Invitato a Cannes 2018, Dolan rinuncia alla competizione, perché ancor in fase di post-produzione. Il film viene rimontato e presentato al TIFF, sempre nel 2018, destando molte perplessità, nonostante il cast sia eccellente e la storia (che prende spunto da una lettera scritta a 8 anni da Dolan a Leonardo DiCaprio), tutto sommato, credibile. Arenato in una serie di sequenze che riprendono temi già trattati nei suoi precedenti lavori, il regista non riesce a ben coordinare i suoi pensieri con i personaggi che sceglie di sceneggiare, portando sullo schermo un film interessante, ma strabordante di intoppi narrativi e ripetizioni.
KIT HARINGTON E NATALIE PORTMAN IN UN DRAMMA AMBIZIOSO MA AUTOREFERENZIALE
Dolan, in questo suo ultimo lungometraggio si cimenta con l’ambizione e il narcisismo hollywoodiano, cercando di trarne una storia epica, teatrale, struggente, dalle grandi potenzialità ma, di fatto, poco riuscita. Il regista sceglie Kit Harington, il Jon Snow de Il Trono di Spade, per interpretare il suo protagonista John F. Donovan, il talentuoso Jacob Tremblay (Wonder) nel ruolo del piccolo Rupert Turner, i premi Oscar Kathy Bates e Natalie Portman ed una sfilza di altri attori eccellenti tra cui Susan Sarandon, Ben Schnetzer, Thandie Newton e Michael Gambon.
Scritto a quattro mani insieme a Jacob Tierney, La mia vita con John F. Donovan (titolo originale The Death and Life of John F. Donovan) racchiude tutti i temi cari a Xavier Dolan, tra cui il mancato rapporto con la figura paterna, l’omosessualità, la convivialità delle mura domestiche, il successo e infine l’immancabile relazione madre/figlio – perno di quasi tutte le sue precedenti opere.
La storia prende vita dalle lettere che Rupert Turner, un bambino americano trasferitosi con la madre a Londra, scrive al famoso attore John F. Donovan, idolatrato dai giovanissimi per il suo ruolo da protagonista in una serie televisiva degli anni novanta e morto in circostanze sospette, dopo un breve arresto della sua carriera. Dieci anni dopo Rupert, ormai adulto, (Ben Schnetzer) decide di raccontare alla reporter Audrey Newhouse (Thandie Newton) tutta la verità sulle missive, ripercorrendone la vita e la morte. Ne esce il ritratto intimo e veritiero di una star che viveva l’inquietudine di uno scandalo mai chiarito, nella malinconia di una famiglia poco vissuta, di un amore lasciato andare troppo presto e allo stesso tempo di un ragazzino che, grazie a quella insolita corrispondenza, ha trovato la forza necessaria per superare i suoi piccoli-grandi drammi e diventare da grande ciò che desiderava essere.
XAVIER DOLAN CONFEZIONA UN ALTRO FILM ALLA XAVIER DOLAN, MA STAVOLTA NON VA
Seppur limitato da una narrazione che risente di una netta specularità verso i suoi lavori precedenti, Xavier Dolan non scrive una brutta sceneggiatura, nonostante questa risulti piuttosto lineare. Gli errori più gravi sono racchiusi nell’iter narrativo poco appassionante e nella confezione tecnica, che soprattutto nella parte del montaggio appare chiaramente penalizzata dai troppi rimaneggiamenti. Il commento musicale non riesce ad arricchire le scene e anzi ne risulta fin troppo distaccato, mentre le sequenze non riescono a innescare la necessaria empatia con lo spettatore, nonostante il regista non esiti a mostrare i suoi caratteristici close-up.
La scelta di Kit Harington è pertinente con il personaggio interpretato, ma l’attore britannico non ha la forza espressiva necessaria allo sviluppo dello stesso e risulta freddo e distaccato, complice anche la chiara mancanza di tasselli narrativi, che non aiutano a ricomporre alcuni tratti della sceneggiatura. La maestria di attrici come Susan Sarandon e Cathy Bates, fortunatamente, risolleva il film nei punti in cui compaiono, così come il buon affiatamento tra Natalie Portman e Jacob Tremblay, madre e figlio in crisi perenne. Interessante anche il (breve) lavoro di introspezione sul ruolo di giornalisti e scrittori, un piccolo iter filosofico ben gestito da Thandie Newton e Ben Schnetzer, purtroppo rimasto anch’esso non del tutto compiuto.
La mia vita con John F. Donovan è un film poco convincente, non all’altezza dei precedenti lavori di Dolan, ma non è certo il completo disastro di cui si è tanto parlato. L’impressione è che il salto hollywoodiano sia stato troppo precoce per un regista abituato a lavorare in altri contesti, con altri budget e sicuramente con una pressione minore. Al suo settimo film in 9 anni, l’ex enfant prodige canadese non riesce a trovare nuovi spunti creativi e, a prescindere da ogni altro problema tecnico o artistico, la sensazione di déjà vu inizia ad essere troppo preponderante.