Dopo la criticatissima stagione finale di Game Of Thrones il canale via cavo HBO ha subìto un duro colpo, minando parzialmente, agli occhi del grande pubblico, la reputazione del network che ha dato vita alla rivoluzione televisiva degli anni Duemila. Tuttavia, proprio in concomitanza con gli ultimi episodi della serie ispirata ai libri di George R. R. Martin, faceva il suo debutto uno show in grado di mettere d’accordo tutti: Chernobyl, una miniserie in cinque puntate co-prodotta con Sky UK e andata in onda nel nostro paese su Sky Atlantic. Chernobyl ha talmente entusiasmato spettatori e critica da essere stata votata sul sito web IMDb come la miglior produzione televisiva di tutti i tempi, superando nella classifica addirittura un mostro sacro che risponde al nome di Breaking Bad.
CHERNOBYL: IL DISASTRO CHE TENNE IL MONDO CON IL FIATO SOSPESO
Chernobyl mette in scena con maestria uno dei disastri ambientali più famosi della storia: l’esplosione del reattore 4 della centrale nucleare V.I. Lenin., a 16 km a sud al confine con la Bielorussia, il 26 aprile 1986. Le conseguenze furono catastrofiche, sia per quanto riguarda il numero dei morti ma soprattutto per l’impatto devastante che ebbe sull’ecosistema. Le puntate si focalizzano sulle figure di quattro personaggi, tre realmente esistiti ed uno creato ad hoc per lo show: il fisico Valerij Alekseevič Legasov (Jared Harris) e il vicepresidente del consiglio dei ministeri Boris Shcherbina (Stellan Skasgård) sono le due figure-chiave intervenute tempestivamente per evitare che l’incidente potesse assumere una portata apocalittica mentre Lyudmilla Ignatenko (Jessie Buckley), vedova del pompiere Vasily Ignatenko, è il simbolo delle sofferenze patite dalla popolazione locale; infine, il personaggio inventato di Ulana Khomyuk (Emily Watson) è un omaggio agli scienziati che aiutarono Legasov a contenere i danni del disastro di Chernobyl.
CHERNOBYL SBATTE IN FACCIA ALLO SPETTATORE GLI ORRORI DI UNA TRAGEDIA EVITABILE
È difficile credere che dietro ad un prodotto raffinato come Chernobyl ci possa essere uno sceneggiatore che, nel corso della carriera, ha lavorato prevalentemente in commedie demenziali (Scary Movie 3 e 4, Superhero – il più ‘dotato’ dei supereroi, Una Notte Da Leoni 2 e 3) ma Craig Mazin, autore alla sua prima esperienza in TV, dimostra di trovarsi a proprio agio anche con il dramma puro realizzando uno degli show più apprezzati degli ultimi anni. Ispirata al libro del premio Nobel Svetlana Alexievich Preghiera Per Černobyl’, la miniserie è il racconto senza filtri di una tragedia che poteva essere evitata: è vero che la causa principale dell’esplosione è riconducibile all’errore umano ma anche le criticità strutturali dei reattori sovietici hanno giocato un ruolo decisivo nell’incidente.
A prima vista, Chernobyl ha uno stile sobrio e rigoroso che prende spunto dalla serialità britannica (in larghi tratti infatti la sensazione di trovarsi di fronte ad una produzione della BBC è forte); eppure non mancano, come nella migliore tradizione HBO, scene incredibilmente sconvolgenti, necessarie per esaltare l’impianto drammaturgico dell’opera. Grazie anche all’eccellente lavoro di Johan Renck (un apprezzato regista di videoclip divenuto negli anni un veterano in campo televisivo) lo show fin da subito è caratterizzato da un’atmosfera fredda, cupa e claustrofobica che non regala alcun tipo di speranza, degna dei migliori film horror; inoltre, ad aumentare la carica emotiva della creatura di Mazin, il contributo del cast è stato fondamentale: le superlative prove di Jared Harris, Stellan Skasgård ed Emily Watson donano ai personaggi una grande umanità, nonostante alcuni di loro fossero personalità dal passato non proprio limpido (eroi più per necessità che per indole).
IL SUCCESSO DI UNA MINISERIE CHE SI È TRASFORMATA IN UN CASO POLITICO
Lo show HBO/Sky non si sofferma soltanto sull’incidente e sulle sue conseguenze ma analizza anche le responsabilità che ha avuto l’Unione Sovietica in questa vicenda: pur di non compromettere il suo status di superpotenza, mostrandosi vulnerabile agli occhi del mondo, il Cremlino ha deliberatamente agito per nascondere la reale portata dei danni causati dall’esplosione del reattore 4. Il disastro avvenuto nel 1986 è una ferita ancora aperta (a più di trent’anni di distanza le zone più vicine alla centrale sono ancora off-limits, tanto da costringere la produzione a girare in Lituania e a Kiev per non rovinare le attrezzature e non mettere a repentaglio la salute del cast tecnico e artistico) e, se consideriamo l’attenzione che ha avuto a livello mondiale, Chernobyl ha generato polemiche feroci in Russia: nonostante alcuni osservatori indipendenti l’abbiano apprezzata, i media filogovernativi hanno pesantemente criticato la miniserie accusandola di mistificare i fatti (addirittura il canale russo Ntv sta progettando una versione alternativa dello show).
Il successo di Chernobyl, apprezzata sia dal pubblico giovane che da quello più maturo, ha riacceso l’interesse nei confronti di una pagina nerissima della storia dell’uomo (basti pensare che il turismo a Chernobyl e alla città fantasma di Pripjat è aumentato a dismisura dopo la messa in onda) ma soprattutto certifica la forza di un’opera capace di scuotere le coscienze come pochi prodotti televisivi hanno fatto in passato, diventando uno dei fenomeni mediatici più rilevanti del 2019.